In questi giorni la rivista Proceedings of the Royal Society of London B: Biological Sciences mostra uno straordinario esempio di come le attività umane che si abbattono su un componente della comunità biotica possano avere profonde conseguenze a cascata sull’intero ecosistema. Il caso in esame riguarda la caccia a scopo alimentare dei primati, incluse alcune antropomorfe, in Nigeria: come accade in diverse nazioni dell’Africa centrale, anche qui numerose specie di scimmie sono in rapido declino demografico a causa del continuo prelievo da parte delle popolazioni umane locali, che li chiamano bushmeat.
Lo studio ha confrontato le comunità animali e vegetali di diverse aree forestali suddivise in due categorie: quelle in cui la caccia dei primati è ampiamente praticata e altre situate in parchi naturali, dunque protette da questa minaccia. Oltre a mostrare che nelle aree aperte alla caccia i primati, sia i quelli di grandi dimensioni (gorilla: Gorilla gorilla diehli; scimpanzé: Pan troglodytes ellioti; drillo: Mandrillus leucophaeus) che quelli di piccole dimensioni (cercopiteco nasobianco maggiore: Cercopithecus nictitans; cercopiteco mona: Cercopithecus mona; cercopiteco dalle orecchie rosse: Cercopithecus erythrotis) sono presenti a densità significativamente inferiori rispetto ai parchi naturali, i risultati indicano altre differenze nella struttura delle comunità forestali.
In primo luogo, nelle due aree emerge una considerevole differenza nella composizione della vegetazione: dove la caccia è consentita, le piante i cui semi vengono dispersi prevalentemente dai primati sono meno abbondanti e vengono rimpiazzate da quelle disperse da roditori e fattori abiotici (ad es. il vento). In particolare, questa differenza non emerge nella vegetazione matura, ma è evidente soprattutto per le piante giovani, ad indicare che le cause di questa variazione sono recenti e tuttora in corso.
La caccia spietata dei primati, che si nutrono prevalentemente di certi frutti disperdendo i semi a chilometri di distanza dalla pianta madre, ha dunque un profondo effetto sulle comunità vegetali delle foreste tropicali africane e potrebbe rappresentare un grave pericolo per l’intera biodiversità. Solo preservando le loro popolazioni, concludono i ricercatori, si garantirebbe la persistenza delle piante con grossi frutti, e dunque la sussistenza di svariate specie di frugivori.
Riferimenti:
E. O. Effiom, G. Nunez-Iturri, H. G. Smith, U. Ottosson, O. Olsson. Bushmeat hunting changes regeneration of African rainforests. Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, 2013; 280 (1759): 20130246 DOI: 10.1098/rspb.2013.0246
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