CRONACA

Nel Lazio l’acqua sarà pubblica

800px-Water_fountain_6178CRONACA – Dopo quasi tre anni dal referendum del Comitato Acqua Bene Comune, il 17 marzo scorso la prima regione italiana ha approvato la proposta di legge per la gestione pubblica e partecipata del servizio idrico sul territorio. Si tratta della Regione Lazio, che all’unanimità ha detto sì alla Legge popolare n°31.

“Il Lazio ha visto un meccanismo innovativo – spiega Paolo Carsetti, del  Forum Italiano dei Moviementi per l’Acqua – poiché lo Statuto della Regione prevede un meccanismo  secondo cui se il consiglio regionale non deliberava sulla questa legge di iniziativa popolare entro un anno, sarebbe scattato il referendum. Proprio questo  meccanismo ha fatto sì che la Regione si esprimesse  sulla questione, anche se non sono mancate forti pressioni da parte dei promotori, che a gennaio si sono accampati per tre giorni e tre notti fuori dagli uffici della Regione.”

Le firme raccolte nel 2012 erano state 37 mila e contemporaneamente venne chiesto ai comuni del territorio laziale di deliberare, con un risultato finale di 40 su 378, cioè il 10% del totale. “In assoluto non è un numero molto alto – spiega Carsetti – ma il senso relativo non possiamo lamentarci, perché era la prima volta che veniva chiesto loro di deliberare su questa questione.” 

Entrando nel merito della legge, essa stabilisce che “l’acqua è un bene naturale e un diritto umano universale”, e come tale deve essere gestito dalla collettività, tramite gli enti locali sul territorio, proprietari delle infrastrutture idriche. 

Il tutto si declina, dal punto di vista pratico, nella riformulazione dei cosiddetti ATO (Ambiti Territoriali Ottimali), a favore delle Autorità di Bacino Idrico, che verranno stabiliti Regione entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, mediante un nuovo documento legislativo. Inoltre, la legge prevede la creazione di due fondi: uno per la pubblicizzazione e il subentro alle società di capitale, l’altro per progetti pubblici cooperativi che agevolino l’accesso al servizio idrico da parte di tutta la cittadinanza. 

Forti novità dunque per il territorio laziale. Ma nel resto d’Italia? Secondo un documento redatto dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua sebbene la Regione Lazio sia stata la prima in Italia a deliberare definitivamente in materia, la situazione dal 2011 si è dimostrata tutt’altro che stagnante. Se un anno fa il movimento per l’acqua contava infatti come unico risultato concreto, l’avvenuta trasformazione nella città di Napoli della società a totale capitale pubblico (ARIN S.p.A.) in azienda speciale (Acqua Bene Comune Napoli), oggi molte altre realtà hanno compiuto i primi passi in questa direzione. A partire dalla provincia ligure di Imperia, dove è stata bloccata una proposta di privatizzazione, passando poi a Forlì e Rimini, dove si sta pensando a una possibile ripubblicizzazione della società “Romagna Acque”. Sono sulla strada verso la pubblicizzazione del servizio idrico anche Reggio Emilia, Piacenza, Pistoia e Savona.

In Veneto, a Vicenza, è stato modificato lo statuto comunale che ha inserito nella carta costituzionale cittadina la gestione del servizio idrico attraverso enti di diritto pubblico.
”A tutto ciò va aggiunta  – si legge nel medesimo documento – la proposta di ripubblicizzazione del ramo idrico di Acea e le proposte di legge regionale d’iniziativa popolare in Lazio, Sicilia e Calabria, oltre a quella depositata in Abruzzo e quella che si sta lanciando in Liguria.”

Ma non solo. A Torino nel 2012 il Consiglio comunale ha votato una mozione che indirizzava alla gestione pubblica e alla cancellazione dalla tariffa della remunerazione del capitale investito. A fine Febbraio, le commissioni hanno deliberato e pochi giorni dopo, il 4 Marzo, la delibera di iniziativa popolare in questione è stata approvata ufficialmente, sulla spinta della mobilitazione incessante dei cittadini e del locale Comitato Acqua Pubblica. La situazione è poi proseguita tra alti e bassi fino al Convegno internazionale del 21 settembre che ha inteso approfondire i vari processi in campo verso la ripubblicizzazione in Italia e in Europa. A oggi la situazione non sembra ancora definita: il Comitato è impegnato in una campagna di sensibilizzazione nei confronti dei Comuni della Provincia affinché approvino delibere a favore della trasformazione di SMAT (Società Metropolitana Acque Torino) in azienda speciale.

Un’altra situazione significativa è rappresentata dalla Regione Sicilia. Lì il movimento per l’acqua pubblica ha depositato nel 2010, grazie alla deliberazione di 135 consigli comunali e alla raccolta di 35 mila firme, un provvedimento sulla pubblicizzazione del servizio. Successivamente, nel 2012, la IV Commissione Ambiente e territorio dell’Assemblea Regionale Siciliana ha deciso di accantonare questo provvedimento, assumendo come testo base il decreto legge del Governo, e bloccando di fatto l’intero iter.

Infine, anche a Pescara, nel 2012, l’Assemblea dei Sindaci della Provincia ha votato per “la pubblicizzazione di ACA S.p.A., sancendo inoltre l’azzeramento della quota di remunerazione del capitale dalla bolletta e impegnandosi ad avviare la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e la Valutazione d’Incidenza Ambientale (VINCA) sulle opere previste.” Ad oggi –  come si apprende sempre dal documento – l’obiettivo non è ancora stato raggiunto, e i contrasti nei confronti di questo provvedimento non mancano.

“In generale – conclude Carsetti – noi speriamo che tutte queste iniziative che sono nate e che stanno nascendo dal basso,  raggiungano l’obiettivo preposto, ovvero la gestione pubblica e partecipativa del servizio idrico. Un segnale insomma – è proprio il caso di dirlo – che faccia smuovere le acque!”

Crediti immagine: Dori, Wikimedia Commons

Condividi su
Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.