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Il farmaco antiasmatico che rallenta l’invecchiamento cerebrale

Si chiama Montelukast ed è in grado di bloccare il recettore che inibisce la produzione di nuovi neuroni. Ottimi risultati sui topi

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RICERCA – Si chiama Montelukast ed è un farmaco già in commercio che viene utilizzato per la cura dell’asma. Secondo quanto è emerso dalle ricerche di un gruppo internazionale di ricercatori che ha coinvolto anche Maria Pia Abbracchio dell’Università Statale di Milano, questo farmaco oltre che a curare l’asma è in grado di rallentare l’invecchiamento cerebrale, che porta alla progressiva perdita delle funzioni cognitive, dalle forme di demenza più lievi fino al temuto morbo di Alzheimer. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Communications. Una ricerca che nei topi ha finora dato dei risultati importanti: Montelukast blocca il recettore GPR17, che inibisce la proliferazione dei neuroni che immagazzinano le nuove informazioni, e così facendo ne aumenta il numero, facilitando apprendimento e memorizzazione.

Abbiamo fatto una chiacchierata con la professoressa Abbracchio, che ci ha raccontato nel dettaglio di che cosa si tratta.

Qual è il problema che siete andati ad affrontare con la vostra ricerca?

Durante l’invecchiamento il nostro cervello può finire col perdere una piccola parte delle sue funzioni cognitive, è una questione fisiologica. Ma possono verificarsi situazioni più gravi come infiammazioni, è il caso per esempio dell’artrite reumatoride, o di malattie genetiche o scatenate da prolungate esposizioni ambientali a certe sostanze. Se queste infiammazioni non vengono curate, le sostanze rilasciate nel corpo nel tempo finiscono per penetrare nel cervello, superando la barriera emato-encefalica, deteriorando le capacità cognitive. Il nostro obiettivo era vedere se si poteva arrestare questo processo di progressivo deterioramento utilizzando proprio un antinfiammatorio dalle proprietà già note, perché già in commercio: Montelukast, appunto.

Veniamo al recettore che avete studiato, GPR17. Che ruolo gioca nell’invecchiamento neuronale?

Questo recettore, presente nelle cellule simil-staminali (i precursori di quelli che diventeranno neuroni, per capirci) degli adulti è stato scoperto dal nostro gruppo, qui a Milano, nel 2006. GPR17 controlla la proliferazione di queste cellule simil-staminali, che dunque non maturano a nuovi neuroniMentre fino a una decina di anni fa si pensava che nel cervello adulto non si assistesse a produzione neuronale, ora sappiamo che non è così: nella parte del cervello chiamata ippocampo, anche da adulti si continuano a generare i precursori di futuri nuovi neuroni, quelli che ci permettono anche in tarda età di ricordare le cose, per esempio. In un contesto patologico, il recottore GPR17 contribuisce al deterioramento delle funzioni cognitive. Era necessario trovare un modo per bloccare l’azione di questo recettore, permettendo a queste cellule di diventare neuroni maturi capaci di immagazzinare le informazioni che apprendiamo dallambiente. A questo serve il farmaco che abbiamo testato nello studio.

Perché proprio Montelukast?

Anzitutto perché questo è un farmaco già in commercio da molto tempo e quindi siamo perfettamente a conoscenza delle sue caratteristiche e delle controindicazioni, che peraltro sono esigue, dato che era addirittura un farmaco pediatrico. Bisogna pensare che l’iter per la messa in commercio di un farmaco può durare anche 15 anni, cosa che finirebbe per rallentare non di poco una ricerca come la nostra. Utilizzando un farmaco già in commercio si potrà, se tutto andrà bene, pensare di iniziare un trattamento nel giro di 2-3 anni. Infine, abbiamo scelto Montelukast poiché è un antinfiammatorio – ricordiamo che viene usato per curare l’asma – e GPR17 è in qualche modo “imparentato” con i cisteinil-leucotrieni, che sono molecole correlate con l’asma al polmone.

Quali sono stati gli effetti di Montelukast che avete osservato nei topi?

Abbiamo scelto dei campioni di animali che potessero riprodurre, come età, due gruppi di persone: l’ipotetico gruppo dei 30-40enni e quello dei 70-80enni. L’esperimento consisteva nel mettere i topi all’interno di vaschette piene d’acqua, in mezzo alle quali c’erano delle piattaforme di salvataggio. Normalmente il topo giovane e sano ci metteva pochissimo a capire che c’era la piattaforma e a salirci, e nei tentativi successivi ricordava il percorso. Per gli animali più anziani invece ogni volta era come se fosse la prima, e ci impiegavano molto di più a trovare la piattaforma. I topi più anziani sono stati quindi trattati con Montelukast e i risultati sono stati notevoli: le loro funzioni cognitive rispecchiavano quelle dei topi più giovani. Il recupero delle capacità cognitive in questo modello animale è dimostrato.

Sappiamo che parlare in generale di demenze ha poco senso, perché ce ne sono moltissime e diverse. Voi di quale tipo di demenza, e di quale gravità, intendete occuparvi?

La nostra scelta per il momento è quella di concentrarci sulle forme di demenza più lievi, sull’inizio di malattie gravi come l’Alzheimer. Anche perché è ancora tutto da fare, da sperimentare nella nostra specie: non sappiamo a priori se il trattamento potrebbe portare benefici anche in stadi avanzati della malattia. Prima bisogna dimostrare che il farmaco funziona con un danno non definitivo (una regola che vale per tutti i farmaci) e poi, una volta dimostrata la funzione preventiva di Montelukast, studiare se può avere anche una funzione correttiva. Queste ovviamente sono le nostre speranze. Non bisogna dare false illusioni: stiamo ancora facendo ricerca di base, anche se finora le premesse sono ottime. Siamo proprio ora alla fine della fase pre-clinica, pronti  partire con gli studi clinici non appena troveremo i finanziamenti necessari.

@CristinaDaRold

Leggi anche: L’orologio di Alzheimer: verso una diagnosi più precoce della malattia

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Crediti immagine: Ávila J., Wikimedia Commons

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.