Il ruolo delle foreste nei cambiamenti climatici
I dati sull'assorbimento di carbonio da parte delle foreste e sulla perdita di acqua degli alberi possono contribuire a migliorare i modelli climatici e a fare predizioni più precise sull'effetto delle emissioni di anidride carbonica sulla temperatura globale.
RICERCANDO ALL’ESTERO – “A un concerto, quello che l’audience percepisce è il risultato finale, cioè l’equilibrio tra le diverse voci, tenore, alto, basso, soprano. Così nelle foreste, il risultato finale che misuriamo a scala di ecosistema deriva dal bilancio tra tutte le varie specie, ciascuna con una diversa fisiologia e una diversa risposta al clima”.
Nome: Rossella Guerrieri
Età: 38 anni
Nata a: Corleto Perticara (PZ)
Vivo a: Portsmouth (Stati Uniti)
Dottorato in: Scienze forestali (Potenza)
Ricerca: La risposta ecofisiologica degli alberi all’ambiente in cui vivono.
Istituto: Earth Systems Research Center (Durham, USA)
Interessi: yoga, canto in un coro, cucinare, correre, andare in bicicletta, leggere e dipingere.
Di Portsmouth mi piace: è a cinque minuti dall’oceano
Di Portsmouth non mi piace: il clima, soprattutto il freddo invernale.
Pensiero: We had longer ways to go. But no matter, the road is life. (Jack Kerouac, On the road)
Quali sono i processi che influenzano la relazione tra clima ed ecosistemi forestali?
Il progetto di cui mi occupo studia alcune delle attività fisiologiche di una pianta, come per esempio l’assorbimento di carbonio, la disponibilità di acqua e azoto e la crescita. In particolare, un parametro molto utile per valutare la produttività delle piante in relazione all’ambiente in cui vivono o a fattori climatici e antropogenici è l’efficienza d’uso dell’acqua, ovvero il rapporto tra la quantità di carbonio assorbito durante la fotosintesi e l’acqua che viene persa attraverso la traspirazione. Entrambi questi processi avvengono tramite piccole aperture presenti sulle foglie chiamate stomi: quando c’è abbastanza acqua le piante tendono a massimizzare l’assorbimento di anidride carbonica (CO2) anche a rischio di perderla, l’acqua, perché tutto sommato ne hanno abbastanza dal suolo. Se ce n’è poca invece, per ridurre la traspirazione, gli stomi si chiudono impedendo così anche l’assorbimento di CO2.
Combinando diversi metodi di ricerca è possibile valutare tutti questi processi sia a livello cellulare che all’intero dell’albero che dell’intera foresta. Per quanto riguarda gli alberi studiamo gli anelli di accrescimento perché la loro ampiezza ci fornisce indicazioni sulla crescita della pianta. La quantità di isotopi di carbonio e ossigeno presenti ci consentono invece di estrarre informazioni sulla fisiologia di piante, nello specifico su fotosintesi e traspirazione.
Invece per l’ecosistema foresta dobbiamo coinvolgere tutte le specie che ne fanno parte e per fare ciò si utilizza una tecnica chiamata eddy covariance, che misura i flussi di carbono e di acqua in atmosfera. I dati vengono raccolti da strumenti posti sulla sommità di torri alte poco più degli alberi che, ogni 30 minuti, rilevano vari parametri ambientali, come la temperatura, le precipitazioni, la radiazione solare, e gli scambi di acqua e CO2 tra le chiome e l’atmosfera.
A scala cellulare cosa avviene?
Qualche mese fa ho iniziato una collaborazione con gruppo in Canada che si occupa di xilogenesi, cioè del processo di formazione dell’anello. L’idea che ho avuto è cercare di relazionare ciò che avviene nelle cellule con i flussi di carbonio e acqua che misuriamo a scala di ecosistema, per vedere se c’è sincronizzazione tra chioma e fusto.
Per raccogliere dati di questo tipo bisogna prelevare ogni settimana dal fusto degli alberi delle microcarote, fare delle sezioni e analizzarle al microscopio. Finora ho analizzato 200 campioni provenienti da due specie e sono a metà del lavoro. Non ci sono ancora conclusioni definitive ma un risultato preliminare è che sembra esserci una sincronizzazione tra il picco di assorbimento del carbonio a scala ecosistemica e la deposizione di lignina a livello cellulare. La lignificazione è il processo più importante della xilogenesi, quello che richiede maggior tempo ma anche la maggiore quantità di carbonio: nel momento in cui la cellula è lignificata vuol dire che è funzionale e può cominciare a trasportare acqua.
Che tipo di foreste hai analizzato?
Il progetto è finanziato dalla NASA quindi ho studiato otto foreste diverse del Nord America, nella maggior parte dei casi conifere. Per le foreste più biodiverse mi sono focalizzata sulle due specie dominanti, ipotizzando che siano quelle più rappresentative dei flussi totali misurati a scala ecosistemica.
Ho visitato foreste bellissime, ho prelevato 400 carote dal 12 specie diverse di alberi e campionato le foglie. In laboratorio, sotto al microscopio, per ogni carota abbiamo datato e misurato l’ampiezza degli anelli e, con un approccio statistico, abbiamo verificato che il processo di dating era stato fatto correttamente e che l’anno attribuito a ciascuna carota era reale. A questa fase è seguita quella molto tediosa di separazione degli anelli, che sono stati macinati e da cui, con uno strumento chiamato Soxhlet e diversi reagenti chimici, abbiamo estratto la cellulosa per misurare gli isotopi di carbonio e ossigeno allo spettrometro di massa. Infine, dopo quasi un anno dall’uscita in campo, abbiamo finalmente analizzato tutti i dati.
A che conclusioni siete giunti?
Uno degli aspetti più interessanti riguarda la valutazione della relazione tra assorbimento di carbonio ed efficienza d’uso dell’acqua da una parte e azoto e clima dall’altra. Abbiamo osservato che non solo l’assorbimento di carbonio ma anche le perdite di traspirazione sono strettamente legate alla disponibilità di azoto, uno dei nutrienti più importanti delle piante. L’azoto è strettamente collegato alla fotosintesi perché l’enzima responsabile della fissazione del carbonio, la RuBisCo, è composta essenzialmente da azoto: più azoto c’è, più c’è fotosintesi e maggiore è la capacità delle piante di assorbire CO2. Maggiore è anche la perdita d’acqua e questo ha un’influenza sul clima.
È un risultato nuovo, perché finora ci si era focalizzati sul ruolo dell’azoto nel sequestro del carbonio e noi abbiamo dimostrato che non possiamo dimenticare il fatto che viene persa acqua.
Come si possono usare i risultati che avete ottenuto?
Il fine ultimo di tutte queste ricerche è fornire dati che possano migliorare le predizioni future dei vari modelli climatici.
L’applicazione più importante è capire il ruolo delle foreste nell’assorbimento di carbonio, elemento strettamente correlato ai cambiamenti climatici. Spesso ci si dimentica che le foreste contrastano l’aumento di CO2 in atmosfera e quindi l’aumento della temperatura perché rimuovono parte del carbonio atmosferico.
L’altra cosa importante è che l’assimilazione di CO2 è intrinsecamente e inevitabilmente legata alla perdita di acqua attraverso la traspirazione e questo influenza il clima perché immettere in atmosfera più vapore acqueo può favorire la formazione di nubi e, per esempio, aumentare la precipitazione e influire sull’albedo, cioè sulla capacità delle foreste di riflettere parte dell’energia solare. D’altra parte il vapore acqueo è anche un gas serra e alla fine può andare a favorire ulteriormente il riscaldamento globale.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Ho appena vinto una Marie Curie in Spagna, a Barcellona, dove studierò le deposizioni di azoto sugli ecosistemi forestali e le sue trasformazioni a livello delle chiome, un altro mondo in cui c’è vita (licheni, funghi, batteri).
Studierò 12 foreste in tutta Europa utilizzando gli isotopi delle acque raccolte per valutare processi di trasformazione dell’azoto e tecniche genetiche per identificare i batteri presenti.
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