STRANIMONDI

Passengers, un’occasione sprecata

Stranimondi questa settimana ci porta lontano dalla Terra, su un astronave abitata da 4998 persone addormentate e due sveglie, troppo presto.

passengers-1STRANIMONDI – Da una grande idea deriva una grande responsabilità: parafrasando così il finale del primo Spider Man abbiamo già una recensione che ben riassume l’occasione sprecata da Passengers, film diretto da Morten Tyldum (The imitation game) con Jennifer Lawrence e Chris Pratt come protagonisti. Perché è bene dirlo da subito: quella buona idea viene letteralmente gettata alle ortiche. Ma qual è questa idea? Due persone isolate su una nave spaziale in viaggio verso un pianeta da abitare. Un viaggio di 120 anni in cui i passeggeri e l’equipaggio sono ibernati e per cui è previsto un risveglio a quattro mesi dall’arrivo, un mese prima per il personale di bordo. Per due passeggeri, una di prima classe, l’abbiente Aurora (Lawrence) e l’umile James (Pratt), che ha un titolo di viaggio di classe “economy”, qualcosa va storto e si trovano svegli, e soprattutto soli, a ben 90 anni dall’arrivo.

La trama

Ci troviamo in una situazione analoga a quella di Avatar, o ancora il più recente Interstellar (al quale questo film deve più di uno spunto): il genere umano sta colonizzando nuovi pianeti e così gigantesche navicelle trasportano fino a 5000 passeggeri su questi nuovi mondi. È il caso della nave spaziale Avalon, che sta portando migliaia di persone su Homestead II, nuovo pianeta da colonizzare. Una nave spettacolare, resa graficamente in modo eccezionale. Avalon è una sorta di transatlantico galattico lungo un chilometro e con una struttura che ricorda, per la forma circolare, anche il modulo utilizzato in Interstellar. Ma la parola transatlantico non è casuale, perché a un certo punto si capisce molto chiaramente che il film a cui Passengers deve di più è Titanic. E lo si capisce da una scena a pochi minuti dall’inizio. Il volo procede regolarmente quando improvvisamente la nave spaziale deve attraversare la fascia degli asteroidi: Avalon ha uno scudo in grado di disintegrarli senza problemi e soprattutto di riparare eventuali danni. Tuttavia, l’impatto tra lo scudo e un asteroide (ripreso di lato: vi ricorda niente?) particolarmente grande causa molti danni alla nave, tutti riparati, eccetto uno: la capsula di ibernazione di un passeggero, James Preston (Chris Pratt) ha un malfunzionamento e il passeggero si sveglia. A 90 anni dall’arrivo. Il film qui funziona molto bene, ha un ritmo incalzante e conduce lo spettatore a immedesimarsi alla perfezione con il personaggio e a seguirlo in ogni passaggio della sua agghiacciante scoperta. Si rivolge a un’assistenza clienti costosissima e inefficiente, prova a risvegliare l’equipaggio, ma ben presto si arrende all’evidenza: è in trappola, per sempre. Finché non vede fra i passeggeri ibernati Aurora Lane e finisce per innamorarsene perdutamente. Da qui, il film si smarrisce.

Sospensione della sospensione dell’incredulità

Nei film di fantascienza quasi tutto è concesso: arrabbiarsi per incoerenze o errori scientifici naturalmente è legittimo, ma in una creazione artistica delle licenze poetiche a ciò che è reale, realistico o verosimile può assolutamente essere ammesso. Tuttavia i passaggi devono essere coerenti, la scrittura deve supportare bene queste licenze che portano lo spettatore, anche il più esigente sul piano scientifico, a concedersi la sospensione dell’incredulità. Per Passengers però bisognerebbe invece fare un vero e proprio atto di fede, a più riprese. Non solo sul piano scientifico ma soprattutto per come la narrazione procede. Preston non ha accesso a un servizio di assistenza, non è previsto un piano b in caso di malfunzionamenti. “Non è mai successo un solo guasto in migliaia di voli interstellari”, ripete allo sfinimento il servizio clienti a cui Preston si rivolge. Ancora una volta il richiamo al Titanic e alla sua ostentata inaffondabilità è palese.

Per cui, in un incontro fra negligenza estrema nei confronti dei clienti e un ridicolo sprezzo della storia del tacchino induttivista di Bertrand Russell, la compagnia di navigazione Homestead non prevede alcun tipo di aiuto ai passeggeri, mandare messaggi alla sede a Terra è di fatto impossibile e al contempo non ci si può rivolgere all’equipaggio ibernato in alcun modo, ma al tempo stesso si può avere accesso a tutti i manuali di bordo fra cui quello che spiega non come riparare le capsule, bensì come aprire quelle degli altri passeggeri! L’equipaggio è inavvicinabile, protetto in una sezione impenetrabile nella nave, ma gli altri passeggeri no. Così Preston deve decidere: sveglierà o no Aurora Lane? Il dilemma etico sarebbe anche interessante, ma è narrato così male e recitato anche peggio da un inespressivo Pratt che lascia intendere sin dal primo secondo in cui Lawrence viene inquadrata che lui la sveglierà, si innamoreranno ma poi lei scoprirà il drammatico gesto di James così il loro idillio amoroso finirà, salvo poi riprendere perché una minaccia superiore – ovvero la distruzione della nave – incombe.

Un finale disastroso (spoiler)

Il finale è un roboante trionfo di non senso: quando la nave mostra segni inequivocabili di danni gravi (ma non erano stati riparati in automatico al momento dell’impatto eccetto la capsula? Improvvisamente no, non erano stati riparati) guarda caso si sveglia un membro dell’equipaggio – Lawrence Fishburne: tu quoque, Morpheus! – che muore in tempi rapidissimi, giusto il tempo di dare ai protagonisti qualche informazione fondamentale e ovviamente il bracciale dell’equipaggio che dà accesso a ogni locale della nave. Da qui la scrittrice Lane e il meccanico Preston si trasformano in ingegneri aerospaziali e risolvono in pochissimo tempo una situazione gravissima, per poi finire in modo parossistico con Preston praticamente immortale, quando è investito per diversi minuti dal fuoco del reattore che alimenta la nave e da cui ne esce senza un graffio, così come quando viene letteralmente resuscitato dal robot medico dopo essere rimasto per un lungo periodo di tempo senza respirare nello spazio con il casco danneggiato. A confronto, Matthew McConaughey che sopravvive al buco nero in Interstellar è qualcosa di ben più facile da accettare. Infine, l’ultimo colpo di scena: il robot medico può essere riadattato a capsula di ibernazione. Eccoci allora all’ultimo e straziante tributo a Titanic: la porta nell’oceano che salvò Rose ma non Jack perché troppo piccola – è diventata un cult negli anni, quella porta – diventa un piccolo lettino supertecnologico che eroicamente Preston offre a Lane, per farsi perdonare la colpa di averla svegliata. Finirà diversamente, ma poco conta. Il film si rivela un film romantico a tratti stucchevole con una recitazione svogliata e una scrittura davvero troppo prevedibile. Le frontiere del volo spaziale, dell’ibernazione, della colonizzazione di mondi lontani, i problemi tecnologici, etici e le sfide che attendono l’umanità che stavano alla base del film si perdono irrimediabilmente in una trama che si piega alle esigenze della storia d’amore forzando e giustificando ogni aspetto del racconto allo scontatissimo happy ending. Peccato.

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Enrico Bergianti
Giornalista pubblicista. Scrive di scienza, sport e serie televisive. Adora l'estate e la bicicletta.