SCOPERTE

Lenti, argenti e cicaline

Piccole microsfere dotate di buchi di dimensioni nanometriche sono state utilizzate per costruire una superficie anti-riflesso. Un sistema che esiste anche in natura, sfruttato da alcuni insetti per nascondersi dai predatori.

I brocosomi sintetici realizzati per creare un materiale antiriflesso. Crediti immagine: Shikuan Yang, Birgitt Boschitsch

SCOPERTE – Quando si va dall’ottico per fare un paio di occhiali nuovi, si possono scegliere lenti con trattamento antiriflesso: si tratta di una sottile pellicola, di solito a base di fluoruro di magnesio, applicata sulla superficie, che aiuta ad avere una visione più nitida eliminando le immagini parassite, cioè i riflessi che si formerebbero sulle due superfici della lente peggiorando la qualità della visione.

Nella lotta ai riflessi inutili nonché dannosi si inserisce il lavoro di un gruppo di ricercatori della Pennsylvania State University che ha realizzato in laboratorio un materiale antiriflesso di nuova concezione: assorbe più del 99% della luce, eliminando quasi del tutto la luce riflessa. La ricerca è pubblicata su Nature Communications: il materiale è composto da piccolissime sfere di argento, di circa due micrometri di diametro (un decimo dello spessore di un capello) sulla cui superficie sono praticati buchi di dimensioni nanometriche (circa un decimo del diametro delle sferette).

Perché progettare materiali antiriflesso? In tutti i sistemi che servono a formare immagini, la luce riflessa è luce persa, che non contribuisce al risultato finale e spesso ne diminuisce la qualità. D’altronde, quando passa da un materiale a un altro, per esempio dall’aria al vetro, una parte della luce viene sempre riflessa, mentre la parte restante attraversa il materiale e in alcuni casi interagisce con esso, cedendo la propria energia alle molecole (assorbimento). Per questo tutte le lenti utilizzate nelle macchine fotografiche, nei binocoli e nei telescopi sono sottoposte a trattamenti specifici per minimizzare la riflessione.

Un modo per diminuire la componente di luce riflessa sfrutta la natura ondulatoria della radiazione luminosa, tramite una pellicola sottile: lo strato antiriflesso sulla lente degli occhiali è progettato in modo che le onde luminose riflesse dalle superfici anteriore e posteriore della lente si sovrappongano e si cancellino l’una con l’altra (è la cosiddetta interferenza distruttiva). I ricercatori della Pennsylvania State University hanno invece realizzato un materiale che per eliminare la componente di luce riflessa sfrutta l’interazione delle onde luminose con oggetti microscopici, dotati di strutture di dimensioni confrontabili con la lunghezza d’onda della radiazione luminosa. Le microsfere di argento nano-bucherellate sono in grado di assorbire la luce da tutte le direzioni, con un’efficacia che include il vicino ultravioletto, la luce visibile e il vicino infrarosso: questa è anche la regione dello spettro elettromagnetico in cui operano gli attuali rivestimenti antiriflesso sintetizzati in modo artificiale.

Quella del professor Shikuan Yang, primo autore della ricerca, non è però solo la relazione della scoperta di un nuovo materiale: nascosta tra le righe c’è la storia di un incontro fortuito tra l’indagine scientifica di laboratorio e il mondo naturale. In natura infatti le superfici hanno un’architettura spesso sorprendente, se solo abbiamo a disposizione un microscopio per ingrandirne l’immagine. Se poi il microscopio è elettronico, il mondo che ci si svela è quello di una materia disordinata e ordinata allo stesso tempo, responsabile di una serie di funzionalità che per gli esseri viventi hanno spesso a che fare con la sopravvivenza e con la riproduzione, in vista della conservazione della specie.

Tra le strutture di superficie più bizzarre che troviamo in natura compaiono i brocosomi: si tratta di granuli di dimensioni micrometriche prodotti dalle cicaline, insetti saltatori raggruppati nella famiglia delle Cicadellidae, somiglianti nell’aspetto a piccole cavallette lunghe al massimo un centimetro. I brocosomi hanno la geometria di un pallone da calcio, ovvero di un icosaedro troncato, miniaturizzato in pochi micrometri di diametro, con dei fori in corrispondenza delle facce dell’icosaedro. Dopo la muta, le cicaline producono questi microgranuli di proteine e lipidi e se li cospargono sul dorso, quasi fosse un trattamento di bellezza.

Così qualcuno ha notato una somiglianza tra i brocosomi e le microsfere che stava producendo in laboratorio… “Sapevamo che le particelle sintetiche che stavamo fabbricando potessero avere delle caratteristiche ottiche interessanti, vista la loro struttura”, spiega il professor Tak-Sing Wong, che ha coordinato il lavoro di ricerca. “Non sapevamo invece niente delle cicaline”, prosegue Wong, “fino a quando non ce ne ha parlato durante una riunione Shikuan Yang, primo autore del lavoro, facendoci presente che questi insetti producono strutture molto simili a quelle su cui noi stavamo lavorando, e che le sfruttano per le loro proprietà idrorepellenti. A questo punto ci siamo chiesti se le cicaline non traessero qualche vantaggio dai brocosomi anche per le loro proprietà ottiche”.

Così la ricerca, partita come un lavoro di scienza dei materiali, si è arricchita anche di spunti entomologici, e ha permesso di capire l’utilizzo che le cicaline fanno delle microsfere, dopo svariati decenni dalla loro osservazione: le cicaline sfruttano le proprietà antiriflettenti dei brocosomi, evidenziate dai ricercatori, per camuffarsi nell’ambiente, evitando che la luce formi sul loro corpo riflessi che le renderebbero immediatamente visibili ai predatori. I piccoli insetti invece si confondono con quello che hanno intorno, e nello stesso modo proteggono anche le proprie uova, nascondendole sotto uno strato di brocosomi dopo averle deposte.

In laboratorio, i brocosomi artificiali sono stati realizzati grazie a una tecnica chiamata deposizione elettrochimica, che permette di fabbricare strutture di dimensioni poco più che nanometriche con un’elevata accuratezza, utilizzando come materie prime metalli, ossidi o sali. In questo modo sia il diametro delle microsfere sia le dimensioni dei buchi possono essere regolate finemente a seconda dell’ambito di applicazione. “Questo apre la strada a studi futuri utilizzando diversi materiali di sintesi: per esempio con brocosomi di ossido di manganese si potrebbe migliorare l’efficienza degli elettrodi nelle pile alcaline” spiega Wong. In futuro si potrà tentare la realizzazione di strutture con dimensioni maggiori, per lavorare con la radiazione infrarossa. “Potrebbero risultare utili nell’ambito della sensoristica e dell’accumulazione di energia”, conclude Wong.

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