TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Un approccio radicalmente diverso all’entanglement

Un team di ricerca dell’ICTP e dell’IQOQI-Innsbruck ha sviluppato un approccio in grado di ridurre enormemente le difficoltà delle misure legate all’entanglement.

Il grosso problema dell’entanglement non è tanto a livello teorico ma è a livello sperimentale e consiste soprattutto nel modo in cui comprendere che uno stato della materia è “entanglato”. Crediti immagine: Pixabay

TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – L’entanglement è uno dei fenomeni più strani legati alla fisica quantistica e anche uno dei più promettenti nell’ambito delle applicazioni tecnologiche. Quando dallo sviluppo della nuova fisica di inizio secolo emerse la possibile esistenza di questo fenomeno, più di qualche scienziato si mostrò perplesso. Una delle caratteristiche più peculiari legate all’entanglement è infatti la possibilità per due particelle di rimanere sotto gli effetti di questo particolare tipo di legame quantistico indipendentemente dalla distanza a cui si trovano, situazione che fa sì che un’azione su una delle due abbia un effetto istantaneo anche sull’altra.(*) Lo stesso Einstein, che era molto scettico riguardo alla validità della meccanica quantistica, usò proprio l’entaglement e le strane conseguenze a cui dava luogo per metterla in discussione. Oggi, tuttavia, l’esistenza del fenomeno è stata verificata con grande accuratezza ed è stato riprodotto in molti esperimenti. Da tempo si stanno studiando le sue possibili applicazioni in ambito tecnologico, dai computer quantistici al campo delle comunicazioni. Tuttavia tranne che per sistemi molto semplici rimane un fenomeno molto difficile da studiare in quanto richiede misure di enorme complessità.

In questo ambito la svolta potrebbe essere fornita da uno studio pubblicato di recente su Nature Physics. Il team di ricerca formato da Marcello Dalmonte dell’ICTP di Trieste (International Centre for Theoretical Physics), da Benoit Vermersch e da Peter Zoller, entrambi dell’IQOQI-Innsbruck (Institute for Quantum Optics and Quantum Information), propone infatti un approccio radicalmente diverso al problema che è in grado di spazzare via di colpo le difficoltà legate alla complessità delle misure. Questo risultato promette di essere di grande aiuto nel migliorare la comprensione della materia condensata e nell’aprire la strada a nuove tecnologie quantistiche.

Abbiamo intervistato Marcello Dalmonte, prima firma dello studio, per farci raccontare come sono riusciti a ottenere un risultato tanto promettente.

Nome: Marcello Dalmonte
Nato a: Castel San Pietro Terme (BO)
Formazione: laurea e dottorato in fisica, Università di Bologna. Post-doc all’IQOQI, Innsbruck
Gruppo di ricerca: Condensed matter and statisical physics section, ICTP
Cosa amo di più del mio lavoro: risolvere problemi
La sfida principale del mio ambito di ricerca: comprendere le proprietà esotiche della materia quantistica utilizzando strumenti quanto più semplici possibile.

Prima di entrare nel merito della ricerca ti va di presentarti?

Sono Marcello Dalmonte e sono ricercatore all’ICTP di Trieste. Lavoro nell’ambito della fisica teorica all’interfaccia tra la fisica della materia condensata, l’informazione quantistica e la fisica dei multicorpi – la fisica dei sistema composti da molte particelle e in generale con molti gradi di libertà – intesa nella maniera più generale possibile, andando dallo stato solido fino alla fisica delle particelle.

Il vostro lavoro propone un nuovo approccio allo studio dell’ entanglement. Innanzitutto può spiegarci questo fenomeno quantistico e la sua importanza dal punto di vista scientifico e tecnologico?

Spiegare cos’è l’entanglement non è semplice perché in sostanza è una delle caratteristiche più significative che distingue la descrizione che abbiamo dei fenomeni classici da quella dei fenomeni quantistici. I fisici tendono a pensarlo come un tipo particolare di correlazione. Cosa significa? Se noi prendiamo due oggetti e li separiamo a grande distanza tra i due possono esistere correlazioni di tipo classico e di tipo quantistico. La cosa interessante dell’entanglement è che, essendo una correlazione di tipo quantistico, è in grado di farci comprendere nella loro complessità fenomeni che al livello classico non avvengono. L’esempio tipico è il teletrasporto che con i fotoni è stato realizzato già alla fine degli anni ‘90. E’ spiegabile unicamente col fatto che abbiamo due particelle che sono vicine e sono correlate attraverso l’entanglement. Se le separiamo e a un certo punto modifichiamo le proprietà di una delle due, modifichiamo immediatamente anche le proprietà dell’altra anche se ormai è a una distanza arbitrariamente grande. Il modo in cui due particelle vengono “entanglate”, ossia correlate attraverso l’entaglement, dipende dalla loro natura.

L’esempio tipico è con gli atomi: per farli entanglare è necessario farli interagire in una maniera controllata. Se prendiamo due atomi e li facciamo semplicemente scontrare, di solito questi non si entangleranno. Se si fanno scontrare o si fanno accoppiare nella maniera giusta – quella che noi chiamiamo coerente – è possibile entaglarli in maniera arbitrariamente precisa. Due particelle una volta correlate in questa maniera condividono alcune proprietà e anche nel caso in cui le separi a grande distanza, se si cambiono le proprietà di una delle due, l’altra subirà lo stesso cambiamento in maniera istantanea. Si tratta di un qualcosa che ovviamente in fisica classica non sarebbe possibile dato che l’informazione non può viaggiare più veloce della luce e quindi per andare da un punto all’altro ha bisogno di una certa quantità di tempo. L’entaglement è quindi questa correlazione molto particolare descritta nell’ambito della meccanica quantistica ed ha potenzialità notevoli sia dal punto di vista delle tecnologie quantistiche – quasi tutte basate sulle entanglement – sia dal punto di vista della comprensione della materia. Ha però un grande problema come tutte le cose interessanti: è difficile da andare a scovare.

Come si studia questo fenomeno? Quali sono le maggiori difficoltà da affrontare?

A livello teorico abbiamo vari metodi per studiarlo, quasi tutti basati su simulazioni numeriche. Questo negli ultimi 15 anni ha permesso alla comunità della fisica dei multicorpi di introdurre una serie di concetti che prima erano totalmente inimmaginabili. Il grosso problema dell’entanglement non è tanto a livello teorico ma è a livello sperimentale e consiste soprattutto nel modo in cui comprendere che uno stato della materia è entanglato. Questa operazione si può fare solo a livello di poche particelle – negli esperimenti si fa già – sia nei mini computer quantistici che esistono al momento, sia in altri tipi di esperimenti come ad esempio quelli di comunicazione quantistica. La difficoltà nasce quando il sistema ha molte particelle e si vuole sapere se correlato attraverso l’entanglement o no. E’ un problema la cui soluzione è fondamentale per quasi tutte le tecnologie quantistiche e anche per le applicazioni dell’entanglement nell’ambito della fisica di base . Per esempio se abbiamo un certo metallo o un certo materiale che è un candidato per essere una memoria quantistica, per comprendere le sue proprietà abbiamo bisogno di misurare il suo entanglement. Come si può fare? E’ proprio di questo che si occupa l’articolo che abbiamo scritto insieme a Benoit e Peter, lo sviluppo metodi di misura sperimentale di entanglement in sistemi a molti corpi.

Quale tecnica si usa per misurare l’entaglement?

Di solito su usa una tecnica chiamata tomografia [lo studio dei singoli piani di spessore di un sistema ndA]. Si tratta quindi di un approccio che si basa su una conoscenza completa di quello che succede nel sistema. Chiaramente capire a fondo come funziona un sistema di due atomi è semplice perché bastano poche misure per avere una tomografia. Il problema è che numero di misure scala esponenzialmente con la grandezza del sistema: mentre per pochi atomi si parla di fare qualche centinaio di misure, già per 10-12 atomi siamo nell’ordine delle centinaia di migliaia. In un modello multicorpi, per esempio per un mini computer quantistico con 50 atomi o ioni, fare una tomografia è assolutamente impossibile. Si parla di svariati miliardi di misure. Quindi questa tecnica, che è applicabile a livello di poche particelle, nei sistemi a molte particelle non è applicabile e si tratta di una grande lacuna.

Voi proponete però un approccio diverso.

Sì, noi proponiamo un approccio radicalmente diverso che ha due caratteristiche importanti. Non è un approccio generico quindi non possiamo applicarlo a qualsiasi sistema quantistico. La seconda caratteristica è che però negli ambiti in cui è applicabile, la sua complessità non scala con quella del sistema. Significa che è applicabile ugualmente bene a 10 o 100 milioni di particelle di qualsiasi natura ed è applicabile a vari tipi di sistemi fisici. E’ ad esempio applicabile a un esperimento di fisica atomica come a uno sullo stato solido, quindi in questo senso è molto flessibile. E’ un approccio che non si basa sullo studio della funzione d’onda del sistema che invece necessita il ricorso alla tomografia.

La funzione d’onda è una quantità che contiene al suo interno tutte le proprietà di un sistema quantistico e contiene tutte le informazioni sull’entanglement nel minimo dettaglio. E’ una funzione della posizione e delle coordinate delle due particelle e, come a dire, è un equazione del tutto: se io ti do la funzione d’onda di un sistema, tu sai determinare in maniera univoca tutte le sue proprietà. Il problema è che essendo una cosa molto generica è anche molto difficile andarci a guardare dentro.

Nel nostro approccio non studiamo la funzione d’onda, ma una funzione connessa a questa che è molto più semplice e si chiama hamiltoniana di entanglement. Questa funzione anche se è molto tecnica e complessa ha in realtà il vantaggio che è semplice da analizzare in un esperimento.

Ma cos’è una hamiltoniana?

L’hamiltoniana è un concetto che esiste sia in fisica classica che in fisica quantistica ed è una funzione delle variabili del sistema che possono essere la posizione delle due particelle, la loro velocità, ecc. La sua proprietà più importante è che determina l’energia del sistema. La stessa cosa avviene a livello quantistico dove determina lo spettro di energie – che poi è quanto andiamo a misurare negli esperimenti. Si può dire quindi che è una funzione che descrive a livello globale lo stato energetico del sistema e allo stesso tempo lo determina. L’hamiltoniana di entanglement, che è un qualcosa di relativamente poco conosciuto, in realtà ha le stesse proprietà dell’hamiltoniana normale, ma a livello di entanglement. Questo vuol dire che allo stesso tempo ne determina e ne caratterizza le proprietà. Quindi se noi abbiamo un problema interessante di cui conosciamo l’hamiltoniana di entanglement possiamo usare quest’ultima per proporre un esperimento con cui misurare le quantità legate all’entanglement . In realtà fare queste misure è molto semplice. Una volta compreso il problema, queste misure sono una cosa che gli scienziati fanno di routine nei laboratori. Il punto chiave è che in questo approccio la funzione d’onda, questo incomodo complesso e ingombrante, non gioca alcun ruolo e quindi la bypassiamo totalmente.

E con l’hamiltoniana di entanglement riusciamo a ottenere le stesse informazioni?

Ottenere le stesse informazioni della funzione d’onda non è così facile, però noi riusciamo a ricavarne una grandissima parte e questo è proprio quello che abbiamo dimostrato nel nostro lavoro. Al momento stiamo provando a capire se sia possibile ottenerle tutte. Si tratta quindi di una domanda non banale a cui dare una risposta per ora è difficile.

Prima invece accennava a dei limiti di questo approccio.

Il nostro approccio funziona soltanto sotto una serie di assunzioni molto tecniche e complesse da discutere nel dettaglio. Vi sono alcuni situazioni dove è però molto chiaro che non funziona. Un tipico caso è lo studio dell’entanglement di sistemi che descrivono stati ad alta temperatura. Il nostro approccio in questo caso sicuramente non è in grado di descrivere l’entanglement. Funziona molto bene, invece, per sistemi a bassa temperatura indipendentemente dal loro entanglement. Possono averne tanto o poco, questo non importa: in questi casi funziona bene.

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(*) Il giorno 26 giugno 2018 è stata modificata la frase in seguito alla segnalazione di un lettore circa le caratteristiche dell’entanglement.

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale