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Il “circuito” che mima la barriera del cervello

Un gruppo di ricerca di Harvard ha utilizzato degli Organ Chips per riprodurre il comportamento della barriera ematoencefalica.

RICERCA – Il cervello è probabilmente la macchina più complessa, e al contempo più delicata, al mondo. Per questo motivo è circondata (oltre che dal cranio e dalle meningi, che formano una barriera fisica contro urti e traumi) da un filtro costituito da microcapillari e cellule di supporto, una sorta di dogana che governa, molto selettivamente, il traffico delle sostanze in entrata e in uscita: la barriera ematoencefalica (BEE).

Sono stati diversi, negli anni, i tentativi di descrivere nel dettaglio i meccanismi di azione della BEE, e come per molti altri oggetti di studio, il primo passo è la costruzione di un modello che ne replichi quanto più fedelmente possibile la funzionalità. Tuttavia, è molto complicato mimare a livello sperimentale questa struttura, cruciale per la protezione del cervello: la BEE, infatti, lungi dall’essere una mera barriera fisica, interagisce direttamente con il cervello regolandone in parte il funzionamento, grazie all’interazione tra microcapillari, cellule di supporto (astrociti e periciti) e neuroni. Gli approcci per spiegare questa interazione basati su tecniche in vitro sono risultati quindi troppo semplicistici; d’altro canto, modelli in vivo (tessuti) sono risultati troppo complessi da riprodurre.

È quindi di particolare importanza il risultato ottenuto da un’equipe di ricerca del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering di Harvard, che ha pubblicato il proprio lavoro sulla rivista Nature Biotechnology: il gruppo, guidato da Ben Maoz, è riuscito creare un modello dell’interazione tra BEE e cervello, utilizzando dei chip tridimensionali (Organ Chips) collegati da microtubuli per il trasporto di fluidi. In particolare, i ricercatori hanno analizzato l’effetto su questo circuito della metanfetamina: l’esposizione a questa sostanza stupefacente, così come ad altre droghe, distrugge infatti l’integrità della BEE, rendendo i neuroni più esposti al rischio di contaminazione da sostanze provenienti dal sistema vascolare.
L’approccio utilizzato da Maoz e dai suoi collaboratori per mimare la fisiologia di un organo composto da decine di miliardi di cellule è stato quello del dividi et impera: “Nella maggior parte dei casi, la ricerca odierna relativa agli Organ Chips si concentra sui tentativi di aumentarne la complessità, aggiungendo più tipi cellulari su ogni chip. Ma abbiamo capito che il cervello è fin troppo complesso, non era possibile analizzare tutto su un unico chip, così abbiamo fatto l’opposto: abbiamo diviso un organo in chip multipli”.

Il modello

Il modello Cervello-BEE elaborato dal gruppo di Harvard consiste in tre chip distinti, connessi da canali microfluidali che permettono lo scambio di sostanze: un chip BEE di “influsso”, un “chip cervello” e un chip BEE “di efflusso”. I chip BEE sono costituiti da un canale circondato da cellule endoteliali, attraverso il quale può fluire un mezzo di coltura che mima il sangue; una membrana porosa divide questo canale da un altro, parallelo, contenente periciti ed astrociti, e perfuso con liquido cerebrospinale artificiale (aCSF).  Il “chip cervello” presenta un canale aCSF simile, un’altra membrana semipermeabile e infine un comparto che contiene neuroni e cellule di supporto (astrociti): è quanto di più simile al tessuto celebrale presente in vivo.
I tre canali aCSF degli Organ Chips sono collegati in serie, creando un sistema altamente connesso in cui le sostanze possono diffondersi esattamente come viene nel cervello umano: dal canale vascolare le molecole passano all’aCSF (attraverso il primo chip BEE); entrano poi nel chip cervello, ritornano all’aCSF, e diffondono attraverso il secondo BEE in un altro canale vascolare efferente.

Crediti immagine: Pixabay

Una volta realizzata questa complessa quanto accurata replica della barriera ematoencefalica, il gruppo di ricerca ne ha testato le risposte a seguito della somministrazione di metanfetamina: gli effetti osservati sul modello a chip sono stati gli stessi osservabili in vivo, ossia un disfacimento che porta alla compromissione dell’integrità dell’endotelio vascolare, con conseguente passaggio di molecole potenzialmente dannose.

Aver realizzato un modello della BEE così fedele a ciò che avviene nel nostro cervello – anche in risposta a determinate sostanze psicoattive – stimola sicuramente lo sviluppo di nuove linee di ricerca: “La bellezza di questo lavoro è che grazie agli Organ Chips si è aperta una dimensione totalmente nuova per la ricerca di stampo neurologico  – conclude infatti Maoz- che nessun altro metodo aveva precedentemente permesso: spacchettare un organo complesso come il cervello, svelando le interazioni tra le diverse strutture che lo compongono”.

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Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.