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L’intelligenza artificiale funziona per la diagnosi dei tumori?

The Lancet Digital Health prova a fare il punto e a quanto pare c'è ancora molta strada da fare.

Secondo Cancer Research UK, si stima che entro il 2040 verranno diagnosticati 27,5 milioni di nuovi casi di cancro a livello globale, il che significa che i dati di imaging radiologico continueranno a crescere a un ritmo molto maggiore rispetto al numero di radiologi, comportando un drammatico aumento dei carichi di lavoro.

Uno studio pubblicato su Academic Radiology  ha stimato che un radiologo medio che interpreta i risultati di TAC e Risonanza Magnetica dovrà interpretare un’immagine ogni 3-4 secondi in un giorno lavorativo di 8 ore per soddisfare le esigenze di carico di lavoro. Le conseguenze sono che, per esempio, nonostante l’esistenza di programmi di screening del cancro al seno in tutto il mondo, l’interpretazione delle mammografie è influenzata da alti tassi di falsi positivi e falsi negativi.

Un algoritmo per diagnosticare i tumori

Il 1 gennaio 2020, Nature  ha riportato un algoritmo AI rivoluzionario che potrebbe supportare in modo retrospettivo i radiologi nella diagnosi del carcinoma mammario utilizzando grandi set di dati mammografici dagli Stati Uniti e dal Regno Unito.

Un editoriale apparso su The Lancet Digital Health si chiede se nel prossimo futuro futuro le diagnosi di cancro verranno diagnosticate dagli algoritmi invece che dall’uomo. La risposta a breve termine – conclude l’articolo – è no. Lo studio citato apparso su Nature presenta numerosi limiti comuni a molti studi sull’Intelligenza Artificiale. Nonostante i risultati positivi in un test controllato retrospettivo, l’IA non ha ancora dimostrato di funzionare in un ambiente reale, con pazienti reali.

Lo stesso Lancet Digital Health ha recentemente pubblicato una metanalisi che esamina l’attuale campo medico diagnostico dell’intelligenza artificiale per dimostrare che meno dello 0,1% (14 studi su 20 mila) erano di qualità metodologica sufficiente per l’implementazione clinica. Proprio come i farmaci o i dispositivi medici, gli algoritmi AI devono mostrare efficacia in robusti studi clinici per passare alla fase successiva di implementazione.

Inoltre, le prestazioni degli algoritmi di intelligenza artificiale dipendono fortemente dalla popolazione utilizzata nei set di addestramento, ma nello studio di Nature, la popolazione non è così ben definita – commenta l’editoriale – e ciò significa che non possiamo essere sicuri che i risultati siano ampiamente applicabili. Dal momento che lo strumento non è stato generalizzato a diversi hardware di imaging o protocolli di scansione, non è ancora possibile comprendere appieno il processo decisionale dell’IA.

Servono più dati

Servono quindi molti più dati e per questo la condivisione delle informazioni tra istituti e regioni sta diventando ampiamente accettata come una necessità per la ricerca sull’IA, con impegni del National Institutes of Health (NIH), del National Cancer Institute, Wellcome e della Bill & Melinda Gates Foundation. Il problema è che non tutti i dati che vengono raccolti per algoritmi di ricerca rispondono necessariamente ai criteri di reperibilità, accessibilità, interoperabilità e riutilizzabilità.

Stiamo parlando degli algoritmi proprietari, che non sono disponibili pubblicamente o commercialmente e che sono sviluppati da grandi aziende, come Google Health. Questa è una grande limitazione nello sviluppo della prossima generazione di prodotti per la salute dell’IA, in quanto riduce la possibilità che altri possano riprodurre, validare e basarsi sui risultati o monitorare il modo in cui gli algoritmi vengono aggiornati.

Infine, sebbene gli strumenti e la formazione che i radiologi riceveranno probabilmente cambieranno in seguito agli algoritmi di intelligenza artificiale che si svilupperanno in futuro, una grande preoccupazione rimane oggi la carenza di persone con conoscenze mediche e competenze informatiche. “Gli operatori sanitari hanno bisogno dell’istruzione necessaria per comprendere i punti di forza e di debolezza della tecnologia e la capacità di valutare rigorosamente i suoi benefici in termini di risultati clinici” concludono gli autori.

“Con una formazione completa della nostra forza lavoro, l’IA dovrebbe avere un impatto positivo sui nostri metodi diagnostici prima di quanto pensiamo.”

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.