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Darwin’s Journey, il viaggio del Beagle è ora un gioco da tavolo

Simone Luciani e Nestore Mangone sono due dei più importanti autori di giochi da tavolo italiani, ora tra i creatori di Darwin’s Journey, nuova avventura che ci condurrà sulle tracce del Beagle. Li abbiamo intervistati.

Simone Luciani e Nestore Mangone sono due dei più importanti autori di giochi da tavolo italiani, ora tra i creatori di Darwin’s Journey, una nuova avventura – già ampiamente finanziata attraverso una campagna Kickstarter – che ci condurrà sulle tracce del Beagle. Li abbiamo intervistati.

Partiamo dalla domanda più scontata. Come mai un gioco su Darwin?

Luc: L’idea è nata da un insieme di cose: anzitutto siamo entrambi appassionati di storia della scienza e dopo aver ideato Newton ci siamo “accorti” che ci piaceva portare sui tavoli da gioco la tematica scientifica. Poi qualche editore ha iniziato a chiederci, quasi per scherzo, “allora quale sarà il prossimo? Galileo? Einstein?” Quindi l’idea di lavorare su uno scienziato era nell’aria. E poi una casa editrice, la Thundergryph, ci ha chiesto se stessimo lavorando a qualche “peso medio/pesante” (come si dice in gergo) e quindi ci siamo ritrovati a sviluppare il gioco.

Man: Rivolgerci a Darwin è stata una cosa quasi automatica…se si parte da Newton e si pensa a chi ha chi ha fatto fare un altro cambio di paradigma alla scienza, viene naturale pensare a lui. E’ stata quasi una scelta obbligata.

E la prossima tappa? Se parliamo di cambi di paradigma verrebbe da pensare ad Einstein…

Luc: Einstein è una figura di cui ho letto alcune biografie e che mi incuriosisce molto. Diciamo però che tendo a non costruire delle direzioni strutturali su cui lavorare, quindi fino adesso non ho mai pensato a delle “collane”: se sei più libero ti puoi permettere di andare ad “acchiappare” delle idee che arrivano al momento. Più crei una strada strutturata e meno liberamente ti puoi muovere. Quindi attualmente non c’è in cantiere un gioco su Einstein, però stiamo ragionando su un gioco che possa raccontare lo sviluppo del cosmo: il big bang, i buchi neri, la nascita di una stella…ci stiamo lavorando.

Tornando a Darwin’s Journey, come descrivereste il gioco?

Man: Come dice il titolo, il gioco segue le tracce del viaggio di Darwin a bordo del Beagle, focalizzandosi sull’esplorazione delle Galàpagos. I giocatori impersonano degli studiosi che hanno il compito di aiutare Darwin a formulare la teoria dell’evoluzione.

Tecnicamente il gioco è un “piazzamento lavoratori”, categoria cui appartengono molti classici del gioco da tavolo moderni (come Agricola o Caylus).

Ogni giocatore/ricercatore ha degli aiutanti (pedine) che, se posizionati in diversi settori del tabellone, contribuiranno a svolgere delle azioni, a raccogliere reperti e così via. Con Darwin’s Journey però abbiamo personalizzato un po’ questa categoria: i lavoratori non si limitano infatti a fare un’azione per turno, in modo meccanico, ma crescono assieme al giocatore. I giocatori acquisiscono delle “lacche” di specializzazione che possono essere distribuite tra i propri lavoratori, rendendoli più abili in specifiche attività. Man mano che si si va avanti nella partita i propri aiutanti si specializzano e insomma acquisiscono una loro personalità.

Luc: Gli aiutanti partono già con delle loro caratteristiche: ci sarà chi è bravo a navigare, chi ad esplorare, chi è bravo a scrivere lettere e così via, però durante la partita il giocatore può decidere come far crescere i personaggi in modo diverso, rendendoli più efficienti nel fare determinate azioni. Quindi ogni partita può presentarsi molto diversa anche in base a come facciamo crescere i nostri lavoratori.

Questa è un po’ l’idea cardine del gioco. Quando l’abbiamo trovata ci è piaciuto che gli aiutanti, durante la partita, crescano con te, diventino sempre più bravi, si specializzino e trovino il loro destino…è una cosa interessante anche a livello tematico.

Mi sembra particolare anche il fatto che Darwin sia una presenza che aleggia sul gioco, ma i giocatori vestono i panni di ricercatori più umili…

Luc: Darwin può essere interpellato con un’azione speciale (che poi non compare nemmeno in tutte le partite) ed è chiaramente un personaggio fortissimo all’interno del gioco. Però nessun giocatore può interpretare Darwin. Sarebbe stato poco simpatico…un giocatore fa Darwin e gli altri no.

Man: Ci piace che, nel nostro piccolo, passi anche il messaggio che la scienza è sempre uno sviluppo collettivo. Infatti abbiamo pensato anche a una piccola “sorpresa” per l’edizione kickstarter riguardante A.R. Wallace, che ci sembrava poco elegante escludere… Anche il nostro precedente gioco, Newton, più che un gioco sulla figura di Newton è un gioco sull’epoca di Newton e su quella disciplina che in quel periodo sta passando da protoscienza a scienza.

Come avete operato per ricreare l’atmosfera dell’epoca di Darwin in un gioco da tavola?

Luc: Su Darwin partivamo facilitati rispetto a Newton: il viaggio del Beagle era già avventuroso di suo: c’era una mappa,c’erano degli eventi…c’era già del materiale adatto a un gioco da tavolo competitivo. Il viaggio, le isole, la nave sono gli elementi da cui siamo partiti per ricostruire il tema. Poi chiaramente volevamo inserire la teoria dell’evoluzione e la sua scoperta tramite le osservazioni dei reperti. E quindi ogni giocatore/ scienziato avrà il suo taccuino,dove disegnare le sue osservazioni per poi spedirle al museo. Ovviamente una grossa mano nel ricreare l’atmosfera è data dalle splendide illustrazioni di Paolo Voto e in genere dalla veste grafica e dalla supervisione artistica del gioco, curata da Pierpaolo Paoletti.

Immagino che abbiate dovuto documentarvi… Avete scoperto qualcosa di curioso, che vi ha colpito, su Darwin?

Man: Ho letto dei saggi interessanti, in particolare uno di Odifreddi, ma la cosa più importante è stata andare dritto alle fonti, quindi ho letto il “Viaggio di un naturalista attorno al mondo”. La cosa che forse mi ha più sorpreso – e di cui Darwin non parla – è come lui sia arrivato su quella nave: Darwin ha avuto una carriera travagliata, non voleva fare l’avvocato, il padre allora lo ha mandato in seminario a fare teologia e alla fine è salito sulla nave fondamentalmente grazie alla raccomandazione di un prete. E’ stato bello vedere, come mi era già capitato con Newton, che la storia personale che c’è dietro agli scienziati che spesso è molto più avventurosa e meno lineare di quanto si possa immaginare, soprattutto all’epoca.

Luc: A me ha incuriosito molto il fatto di aver ricevuto per Natale un romanzo che parla di un incontro immaginario tra Darwin e Marx, da un persona che non sapeva che stessi lavorando a un gioco su Darwin.

Nestore, tu avevi già fatto un gioco su un naturalista, Von Humboldt. Un personaggio strano per un gioco da tavolo e per alcuni aspetti molto vicino a Darwin. C’è qualche rapporto tra questi due giochi?

Man: Nessun legame…tra l’altro la tematizzazione è stata successiva. Io e Remo Conzadori, l’altro autore, abbiamo proposto un gioco già finito all’editore, con la sua ambientazione e la sua meccanica. Poi siccome l’editore tedesco era interessato a celebrare l’anno di Von Humboldt , ci ha proposto di stravolgere la tematizzazione. Prima era un gioco sulle ferrovie in India…

Meccaniche e tema, forse i due pilastri di ogni gioco… da dove si parte di solito?

Luc: almeno per giochi di questo genere, io parto dalla meccanica e poi trovo un tema che sia aderente alla meccanica. In questo caso il percorso è stato diverso, ed è abbastanza raro che accada.

Partendo dall’ ambientazione non avevamo una meccanica chiara e delineata attorno a cui costruire il gioco. Abbiamo provato almeno tre meccaniche centrali prima di trovare quella che ci ha veramente convinto. Questo significa sostanzialmente stravolgere il gioco per tre volte e creare tre giochi diversi. Di solito lavoro con una meccanica che convince e poi ci cambi le cose attorno, plasmi l’ambientazione in base alle esigenze della meccanica.

Una delle meccaniche scartate ci piaceva, però alla fine il gioco non funzionava e quindi o cercavamo di perfezionarla, di trovare la soluzione, ma la cosa può voler dire lavorarci anche un anno e dovevamo rispettare delle scadenze editoriali, oppure bisognava buttare tutto e cambiare direzione, che è quello che abbiamo fatto.

Quindi anche nel game design come nella ricerca scientifica si procede per errori e tentativi…Cos’altro hanno in comune ricerca e game design?

Luc: Entrambe usano delle strutture razionali per procedere. Rispetto ad altri ambiti artistici dove c’è meno struttura, parti da una situazione in cui ci sono dei vincoli, delle regole, dei riferimenti ma poi non sai bene dove andrai a finire con lo sviluppo. Ci vuole intuito, fortuna…penso che anche nella ricerca scientifica ci sia un obiettivo da raggiungere ma la strada non ti è chiara al 100%, anche perché stai facendo qualcosa che non è stato fatto prima. Hai un percorso che pianifichi ma poi lo cambi…è diverso dall’artigiano che produce quel paio di scarpe che sa fare bene. Ogni volta è una sfida diversa, devi inventarti qualcosa. C’è una buona dose di incertezza nello sviluppo, che è la parte interessante e frustrante perché hai sempre l’ansia di non sapere se la cosa che hai fatto piacerà a chi la gioca.

Man: il game design ha moltissime sfaccettature: una consiste nel calibrare il gusto relazionale dei giocatori. Noi dobbiamo prevedere con un certo anticipo, mettendo delle regole, cosa succederà attorno al tavolo. Parti con un obiettivo principale che vuoi raggiungere, pensando al tipo di dinamiche che vuoi si crei tra giocatori, però non sai se quell’obiettivo lo raggiungerai. Non sai se davvero al tavolo si genereranno le situazioni che hai immaginato all’inizio.

E quindi, come nella ricerca, c’è una parte di sperimentazione fondamentale che è il testing. Facciamo giocare il prodotto a dei tester con la speranza che dalle prove esca quello che vogliamo vedere. Poi analizziamo i dati e vediamo quali sono le modifiche da fare per portare il gioco verso la direzione che vogliamo. Quindi c’è molta psicologia ma anche molta matematica perché poi i giochi devono essere equilibrati, bilanciati… non ci devono essere strategie vincenti o dominanti. E qui ci deve essere un buon calcolo e progetto di base, perché anche se arrivi a 100-150 test (che è una cosa che un bravo game designer e un bravo editore devono fare) , poi se il gioco viene venduto in duecentomila copie e ogni copia viene giocata in media 5 volte…beh, tu quella quantità di partite in fase di test non puoi farla. Devi avere ponderato inizialmente un po’ tutte le possibilità di gioco e non è facile.

Luc: Crei un oggetto che deve funzionare al di là di te, crei qualcosa che andrà in mano a dei giocatori che si potranno inventare strategie diverse da quelle che hai pensato tu. Questo non succede se, per esempio, giri un film. Quello resta così. Con il gioco invece crei un oggetto dinamico a cui poi qualcun altro gli dà ulteriore vita. Questo è estremamente affascinante ma ti crea anche molti problemi da risolvere. Se un giocatore gioca in una maniera molto strana, che tu non hai previsto può essere un problema. Oppure al tavolo si creano dinamiche a cui non hai pensato. Per questo è importante fare dei test anche con persone molto diverse. A volte un gioco funziona benissimo con un gruppo, hai fatto 50 test, sei stra-sicuro, poi lo gioca un gruppo in cui si creano dinamiche diverse, che lo gioca in maniera diversa e te lo “sfascia”.


Leggi anche: Il giovane Darwin”, graphic novel di formazione di uno scienziato

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Carlo Rigon
Di formazione umanistica, ha conseguito il Master in Comunicazione della scienza presso la SISSA di Trieste. Insegnante, si occupa con scarso successo e poca costanza di tante cose. Tra i suoi progetti più riusciti un "museo del dinosauro giocattolo", ora chiuso.