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Qual è la “patria” dell’essere umano moderno?

Lo studio che la collocava in Botswana, nel delta dell’Okawango, si spinge oltre le evidenze disponibili. La critica di un gruppo di antropologi, archeologi e genetisti sulle pagine del Journal of Archeological Science.

L’origine dell’uomo anatomicamente moderno – noi, per intenderci – è in Africa. La domanda è: dove?

Nel 2019 ha risposto un lavoro sulla rivista Nature: è nell’Africa meridionale che i moderni sapiens hanno mosso i primi passi, prima di migrare e colonizzare il pianeta. I ricercatori, guidati dalla genetista Vanessa M. Hayes, avevano raccolto 1217 genomi mitocondriali di individui africani per costruire un albero filogenetico. Ogni genoma mitocondriale può essere assegnato a un gruppo distinto (aplogruppo) in base alle sue mutazioni, e i gruppi di origine più antica (L0) erano concentrati in una regione geografica precisa, il Makgadikgadi-Okavango (attuale Botswana), abitata da cacciatori raccoglitori khoisan. All’epoca dei primi uomini (circa 200000 anni fa, secondo questo albero) era una zona paludosa, che è compatibile con insediamenti umani. Bingo.

Ogni ricerca sull’uomo, e in particolare su una rivista blasonata come Nature, garantisce una ricca copertura mediatica, specialmente se – come in questo caso – le sue conclusioni sono così audaci. Ma non tutti gli addetti ai lavori erano d’accordo, e la ricerca fa ancora discutere. Lo dimostra un articolo di commento intitolato Human origins in Southern African palaeo-wetlands? Strong claims from weak evidence appena pubblicato sulla rivista Journal of Archeological Science, firmata da diversi specialisti dell’antropologia, della genetica e dell’archeologia, alcuni dei quali noti anche al grande pubblico, come Adam Rutherford e Guido Barbujani.

Affermazioni straordinarie, prove inadeguate

“Il DNA mitocondriale è un piccolo pezzetto di DNA che ereditiamo per via materna e che si trasmette senza ricombinarsi. Rispetto al DNA nucleare è più facile da studiare, e per questo ha fatto la storia dell’antropologia molecolare, oltre a essere ancora utilissimo. Ma ha dei limiti” spiega a OggiScienza la dottoressa Chiara Barbieri, antropologa all’Università di Zurigo, che ha sequenziato molti dei genomi usati nello studio del 2019. 

Dagli anni ‘80 lo studio del DNA mitocondriale “àncora” la nascita della nostra specie in Africa, e tutte le altre linee di evidenza lo confermano. Ma non è possibile usarlo – spiega Barbieri – per puntare il dito su una mappa e identificare un luogo di origine vecchio di 200.000 anni. Per esempio, uno studio sul cromosoma y, che invece è ereditato per via paterna, identificherebbe la patria dell’uomo in Camerun, usando la stessa logica delle linee di antica origine.

“Solo un albero di geni, non di popolazioni”

Il motivo è che questi genomi non sono informativi – da soli – per rispondere a domande come “Qual è la patria dell’uomo moderno”, perché sono solo quella frazione di DNA che è sopravvissuta per discendenza materna diretta. Quando parliamo di Eva mitocondriale parliamo di un lignaggio, non significa che tutta l’umanità discende da una singola donna. Allo stesso modo, questi mitogenomi non rappresentano le popolazioni ancestrali, che migrano, si espandono, si riducono e soccombono. Nelle parole del professor Guido Barbujani, intervistato nel 2019 a caldo dalla giornalista Anna Meldolesi per il Corriere della Sera “L’albero evolutivo ricostruito su Nature, in fondo, è solo un albero di geni e non di popolazioni”.

Un altro problema di metodo è che l’interpretazione basata sul mitocondriale viene “puntellata” con altri dati, che potrebbero essere interessanti ma poco indicativi in questo contesto. Per esempio la ricostruzione paleoclimatica dello Makgadikgadi-Okavango, una palude lussureggiante, dovrebbe giustificare la sua idoneità come patria dell’uomo, ma in realtà sappiamo che l’uomo in Africa si è adattato a una varietà di ambienti molto diversi.

Come trovare la nostra “terra natia”?

Al momento stabilire dove è nato l’uomo moderno con i mezzi della genetica è probabilmente fuori portata, spiega la dottoressa Barbieri. Anche con i genomi completi di tutta la popolazione africana è improbabile che arriveremmo a una soluzione che trovi un ampio consenso nella comunità scientifica. Per fare confronti sensati coi genomi attuali servirebbe del DNA umano antico, prelevato da fossili con datazione certa. Ma sono rari, specialmente in Africa dove il clima non aiuta la conservazione del materiale genetico.

Per ora però l’interpretazione dei dati archeologici non prevede l’esistenza di una vera e propria patria. La teoria più supportata è che diverse regioni africane abbiano contribuito a forgiare quello che noi chiamiamo uomo anatomicamente moderno. I fossili più antichi di Homo sapiens in Africa, datati 300000 anni, vengono da Marocco (Nord Africa), seguiti da quelli di 250000 anni trovati in Sud Africa e da quelli in Etiopia, cioè Africa orientale, datati 200000 anni fa.

Al di là della singola pubblicazione, gli scienziati sembrano quindi preferire un quadro più incerto e complesso. E, forse, anche più difficile da piazzare in prima pagina.


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Photo by Wynand Uys on Unsplash

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza e collaboro con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ho scritto col pilota di rover marziani Paolo Bellutta il libro di divulgazione "Autisti marziani" (Zanichelli, 2014). Su twitter sono @Radioprozac