Sulle orme degli ominidi
Un libro breve racconta la lunga storia dei primati che hanno conquistato il pianeta, migrazione dopo migrazione, per scelta e per forza.
LIBRI – Quest’anno Guido Barbujani, genetista delle popolazioni all’Università di Ferrara, ha pubblicato una versione aggiornata dell’Invenzione delle razze per l’editore Bompiani – la prima era uscita nel 2006, c’erano molte scoperte da aggiungere. Poco prima era uscito dal Mulino Il giro del mondo in sei milioni di anni, scritto insieme al dottorando Andrea Brunelli.
Ogni capitolo è introdotto da ricordi di Esumim, se non s’indovina il senso dell’acronimo non importa: è svelato alla fine. Milioni di anni per gamba ma ancora arzillo, sfoglia “l’album di famiglia” delle specie ominine. Sboccato, maschilista, a volte nostalgico dei tempi e dei paesaggi che furono, a volte esploratore spavaldo, più invecchia meno capisce cosa spinge “i giovani d’oggi” ad andarsene.
Siccome gli spiacerebbe perdersi una nuova avventura, li segue lo stesso.
I lettori seguono lui, migrazione dopo migrazione, insieme a quelli che immaginano un posto migliore per viverci, lo trovano o se lo costruiscono. Poeti e sognatori, naviganti qualcuno, santi nessuno e pionieri tutti. I primi a scendere dagli alberi, camminare sugli arti posteriori, uscire dall’Africa, raggiungere in barca, in barca!, le isole dell’Oceania. I primi ad attraversare le Americhe da nord a sud in “pochi millenni” a piedi.
E poi ci sono gli Esquimesi.
Arrivati a piedi anche loro.
E la storia non finisce qui.
Esumin non ricorda di preciso com’è andata, ogni tanto si contraddice. D’altronde fino alla scrittura le testimonianze sono poche e incerte. Però di recente qualcosa si è imparato da reperti fossili, da varianti di geni antichi e moderni (anche da quelli dell’Helicobacter pylori, un batterio presente nello stomaco di metà della popolazione attuale), dalle lingue, dai manufatti, dalle impronte lasciate nelle ceneri vulcaniche da australopitechi grandi e da piccoli che cercavano di mettere i piedi nelle orme dei grandi.
Quella camminata di 3,6 milioni di anni fa è stata in parte ricostruita dall’antropologo Giorgio Manzi che ne parla in Ultime notizie sull’evoluzione umana (il Mulino, 2017). È anche l’allegoria che accomuna i saggi di Barbujani, Sono razzista ma cerco di smettere, Gli Africani siamo noi, Europei senza se e senza ma, e il romanzo giallo Questione di razza.
Ci invita a indossare i panni dei “diversi”, a guardare il loro mondo con i loro occhi. L’esperimento non va molto di moda, forse perché ci rivela parecchio su noi stessi.
Ce la sentiamo di assecondare la speranza di giovani intraprendenti, temerari, mossi “dall’irrequietezza e dalla curiosità”? La loro diversità ci spaventa? O ci spaventa la somiglianza con gli italiani “sempre più migranti“? Preferiamo “moglie e buoi dei paesi tuoi”? Sottraiamo risorse a “casa loro” perfino quando cerchiamo di aiutarli a non abbandonarla? Quanto lavoro di uomini, donne e bambini stranieri sfruttiamo a casa nostra?
Sono domande serie poste da Barbujani e Brunelli nell’ultimo capitolo. Oggi “si fa un gran parlare di radici e dei diritti che deriverebbero dall’averle in un posto e non in un altro”, scrivono gli autori. Lasciano rispondere l’antropologo Marco Vaime:
basta abbassare lo sguardo per rendersi conto che in fondo alle gambe non abbiamo radici, ma piedi.
E ai piedi alcuni di noi hanno “suole di vento” come quelle della scrivente che sviene alla vista di una pistola, e di Arthur Rimbaud, poeta, vagabondo e trafficante d’armi.
Sono domande poste senza farle pesare perché Il giro del mondo in sei milioni di anni possiede quella che Italo Calvino chiamava “leggerezza“. È rivolto a chi magari non sa nulla della nostra evoluzione, ma ama le sorprese, i paradossi, viaggiare con la mente. A chi non teme di imbarcarsi verso l’ignoto e di identificarsi con l’interlocutore come Calvino nella sua intervista impossibile all’uomo di Neanderthal.
Il signor Neander è nato alla RAI nel 1974. Precede il più arcaico Esumin e lo aveva preceduto nel 1965 il moderno duca d’Auge, un signore che si dedica alla contraffazione di pitture rupestri tra una cannonata e l’altra contro i mammut e i villani. Quando il bifolco scarseggia attraversa il Mediterraneo. per uccidere i saraceni, poi la Spagna, la Francia e i secoli fino a metà del Novecento nel romanzo I fiori blu di Raymond Queneau.
Lo aveva tradotto Calvino in una sintonia impareggiabile con l’originale. I personaggi letterari hanno un albero genealogico, suggeriscono Barbujani e Brunelli, lasciano anche loro testimonianze della nostra evoluzione e di una storia che “non finisce qui”.
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