Alessandro Trigila, geologo del Dipartimento di difesa del suolo dell’Ispra, spiega che cosa sta accadendo nelle due regioni del Sud.
Ascolta l’intervista integrale di OggiScienza ad Alessandro Trigila
AMBIENTE – Un terreno argilloso e poco resistente alle fratture, piogge intense, una certa pendenza e un’urbanizzazione eccessiva. Sono gli ingredienti perfetti per innescare un disastro naturale: quelle frane che, da alcuni giorni e ancora in queste ore, stanno interessando diversi territori nel messinese (in Sicilia) e nella provincia calabrese di Vibo Valentia. Un disastro naturale che per fortuna non ha provocato vittime, ma comunque danni e disagi immensi.A San Fratello, il primo paese a essere colpito, la frana ha un fronte di quasi un kilometro e si allunga per diversi kilometri dalla cima della collina su cui si trova il centro abitato fino al torrente sottostante. Oltre ai tecnici della Protezione civile e ai geologi della sezione siciliana dell’Ordine nazionale dei geologi ieri sul luogo sono arrivati anche gli esperti dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. “Abbiamo partecipato a un sopralluogo sulle varie aree interessate dal fenomeno”, racconta a OggiScienza Alessandro Trigila, ricercatore del Dipartimento di difesa del suolo dell’Ispra. “Abbiamo fatto una prima valutazione dei danni agli edifici e preso alcune misure per monitorare il movimento della frana. Di fatto, si tratta di prendere misure successive nel tempo della larghezza di alcune fratture che si creano per effetto della frana nel terreno, sulle strade o sugli edifici”.
Il grosso movimento della frana si è verificato domenica, mentre ieri si sono registrati spostamenti di pochi centimetri. Difficile, invece, dire che cosa succederà nei prossimi giorni. “Molto dipende anche dalle precipitazioni, che in situazioni di questo tipo, caratterizzate da rocce e terreni friabili, innescano il distacco di materiali franosi. Sembra che le previsioni meteo non siano bellissime, ma non resta che stare a vedere”. E questo vale sia per Sicilia, sia per Calabria, accomunate dalla stessa fragilità idrogeologica.
Intanto, però, si comincia ad affrontare l’emergenza. “A San Fratello la prima cosa da fare è ripristinare la rete fognaria”, spiega Trigila. “Ci sono state delle interruzioni, ed è importante evitare che le acque vengano convogliate verso il corpo di frana perché, come abbiamo visto, l’acqua tende a innescare le frane stesse. Poi si continuerà con il monitoraggio dei movimenti, posizionando anche strumenti più sofisticati di quelli che abbiamo usato finora”. E poco alla volta si cercherà di tornare, per quanto possibile, alla normalità, riaprendo strade, scuole e così via. Anche se molti edifici rimarranno inagibili a lungo.
Ma davvero non è possibile evitare disastri di questo tipo? Certo, la natura del terreno e delle rocce non la si può cambiare, ma si può cercare di ridurre il rischio evitando di costruire in zone notoriamente franose. Come il comune di San Fratello, appunto, colpito da un’enorme frana nel 1922, mentre è dello scorso ottobre una frana che, nel vicino paese di Giampilieri, ha provocato ben 31 morti. Una mappa dettagliata delle frane attive in Italia esiste: l’ha redatta un paio di anni fa l’Ispra (anche se ora ci sarebbe bisogno di un aggiornamento). “Un semplice principio di cautela imporrebbe di evitare di edificare in zone che hanno alle spalle una storia di frane. Possono passare anche decenni, ma di sicuro prima o poi la frana si muove e si trascina dietro case e infrastrutture”, spiega l’esperto dell’Ispra.
Gli amministratori dovrebbero sempre ricordarselo, ma ovviamente è anche una questione di risorse. A questo proposito, il WWF ha preso la palla al balzo, rilasciando nei giorni scorsi una dichiarazione in cui si contestava l’allocazione di fondi per il progetto del ponte sullo stretto di Messina, mentre non se ne spenderebbero a sufficienza per la tutela del territorio. “Una volta stabiliti dei criteri di fattibilità tecnica, la decisione di costruire o meno il ponte diventa una decisione politica, in merito alla quale l’Ispra non può avere obiezioni”, dichiara Trigila. “Tuttavia, resta il fatto che la difesa dei nostri territori dal dissesto idrogeologico ha davvero bisogno di più risorse”.