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Il muro di Berlino della questione climatica

Ascolta l’intervista integrale a Lester Brown

Pessimismo e ottimismo. Lester Brown quando parla ha la capacità di spaventare, mettendo sul piatto con durezza i rischi che la nostra civiltà sta correndo nello sfruttamento incontrollato delle risorse naturali. Ma è capace anche di lenire le ferite, guardando con speranza verso i semi di un cambiamento che secondo lui avrà luogo, in un futuro si spera non troppo remoto.
Definito dal Washington Post uno dei più importanti “pensatori” al mondo, Brown è da decenni impegnato nella causa ambientalista. È anche a lui che dobbiamo il concetto di sviluppo sostenibile, coniato già negli anni ’70, quando ha anche fondato l’istituto Worldwatch.
Brown il 13 maggio sarà a Trento (al Museo tridentino di scienze naturali) in occasione del Bioweek, la settimana di eventi tutti dedicati alla biodiversità, dove presenterà l’edizione italiana del suo ultimo libro “Piano B 4.0. Mobilitarsi per salvare la civiltà”(Edizione Ambiente).
OggiScienza lo ha raggiunto telefonicamente per parlare dei suoi “piani B”.

OS: Lester Brown, il suo ultimo libro parla di un “piano B 4.0” per salvare la nostra civiltà. Qual è allora il “piano A” e chi ne è responsabile?

LB: Bè, il piano B è ovviamente l’alternativa al piano A che è il “business as usual”. È difficile biasimare un qualche gruppo o nazione in particolare, ma da quando la nostra economia moderna si è evoluta, dall’inizio della rivoluzione industriale, abbiamo creato un sistema che sta lentamente distruggendo le sue risorse, dal cambiamento climatico all’impoverimento delle falde acquifere, la distruzione delle foreste, la pesca insostenibile, l’erosione del suolo… è una lista lunghissima di esempi di come stiamo distruggendo il sistema naturale che sostiene l’economia. Sappiamo dallo studio delle civiltà antiche, quella sumera per esempio, che viveva nell’attuale Iraq, o quella maya nel Centro-america, che come risultato della deforestazione o dell’erosione del suolo o, nel caso dei sumeri, dell’aumento della percentuale di sale nel terreno che ha distrutto la produttività agricola, le civiltà in questione sono collassate. Tutte le civiltà antiche che hanno distrutto i propri sistemi di supporto sono finite per collassare e lo stesso accadrà a noi. Non c’è modo in cui l’economia globale possa sopravvivere alla distruzione dei suoi sistemi di supporto naturali. Questa è la sfida e questo è quello a cui il piano B fa riferimento.

OS: Per decenni gli uomini hanno creduto che il progresso avrebbe reso disponibili cibo ed energia a un sempre maggior numero di individui. Leggendo il suo libro però l’impressione è che sia proprio il progresso oggi il motivo per cui energia e cibo rischiano di diventare sempre più costosi e inaccessibili. Che cosa è andato storto?

LB: Probabilmente la spiegazione principale è che abbiamo un mercato che non ci dice la verità “ecologica”. Per esempio quando bruciamo della benzina, paghiamo i costi per l’estrazione del greggio, per la raffinazione, e la distribuzione, ma non paghiamo il prezzo del cambiamento climatico che consegue al suo utilizzo. Lo stesso succede col carbone: paghiamo il prezzo per estrarlo e per portarlo alle centrali termoelettriche ma non paghiamo quello relativo al cambio climatico associato al suo consumo. La sfida che stiamo affrontando in quest’area specifica, l’area climatico-energetica, è quella di accelerare il passaggio dai combustibili fossili alle fonti di energia rinnovabile – che includono il vento, l’energia geotermica e quella solare – . Il fatto eccitante è che abbiamo un’abbondanza di energia eolica, solare e geotermica, per cui la questione è solo quella di creare un ambiente economico in cui paghiamo il costo pieno dei combustibili fossili. Possiamo farlo con una “carbon tax” per un esempio, in alcuni casi con la “cap and trade”, ma una volta che verrà messo al carbone un prezzo che tiene conto del costo totale, a quel punto la transizione verso le energie rinnovabili andrà molto veloce.

OS: Lo ha già accennato, ma può spiegare in breve qual è l’alternativa che propone nei suoi libri, il suo “Piano B”?

LB: Il piano B ha quattro componenti principali. La prima è quella di tagliare le emissioni di gas serra all’80 percento di quelle attuali non entro il 2050, che è la meta stabilita dai politici, ma entro il 2020. Pensiamo che se vogliamo avere una possibilità di salvare, per esempio, il ghiaccio della Groenlandia, allora dobbiamo tagliare le emissioni di CO2 molto velocemente. Se aspettiamo fino al 2050 non sarà possibile salvare il ghiaccio della Groenlandia dallo scioglimento. Questa è una sorta di metafora: se non salveremo quello non salveremo neanche quello artico e i ghiacciai in tutto il mondo, in particolare quelli himalayani, che sostengono i fiumi indiani e cinesi. La seconda e la terza cosa che dobbiamo fare, le metto insieme, è eradicare la povertà e stabilizzare la popolazione mondiale. Questi due punti stanno insieme perché più progressi facciamo verso l’eliminazione della povertà più veloce è il passaggio verso famiglie più piccole; allo stesso tempo più velocemente riusciamo a rallentare la crescita della popolazione mondiale, più è facile eradicare la povertà. Il quarto punto prevede la ricostruzione dei sistemi naturali di supporto all’economia, foreste, terreno, faglie acquifere, stato di salute del mare ecc. Sappiamo come farlo, abbiamo esempi positivi in molti luoghi al mondo ma ora dobbiamo farlo a un livello globale.

OS: Solo tre anni fa, nel 2007, L’Intergovermental Panel on Climate Change (IPCC) e Al Gore hanno ricevuto il premio Nobel per la pace, e molti, me compresa, hanno pensato “adesso cambierà davvero qualcosa”. Solo tre anni dopo, oggi l’IPCC è continuamente sotto attacco e ci sono molte critiche alla teoria antropica sul riscaldamento globale. Pensa che siamo sull’orlo di un “era negazionista” sul clima?

Quello che percepisco io è che siamo molto vicini a un picco nella questione climatico-energetica. Per esempio negli Stati Uniti negli ultimi tre anni abbiamo visto la nascita e crescita di un grosso movimento dal basso per bandire l’energia prodotta dalle centrali a carbone. Oggi negli Stati Uniti è quasi impossibile ottenere una licenza per costruire un nuovo impianto a carbone. Ora che è stato raggiunto questo obiettivo, il prossimo passo del movimento è quello di ottenere la chiusura degli impianti già esistenti. Ce ne sono più di 600, di cui 30 o più stanno per chiudere o essere convertiti a gas naturale, biomassa o altre fonti energetiche, una delle più importanti quella eolica. Fra il 2007 e il 2009 negli Stati Uniti l’uso del carbone è diminuito dell’11%. Parte di questo effetto è legato alla recessione, ma un’altra parte è legata allo spostamento verso altre risorse. Nello stesso periodo sempre in Usa sono state messe in attività 191 nuove centrali eoliche in grado di produrre 17.000 megawatt di energia (pari all’energia prodotta da circa 17 grandi centrali a carbone). La “transizione energetica” si sta verificando negli Stati Uniti, in una maniera molto più veloce che la maggior parte delle persone pensa.

OS: Quindi lei è ottimista rispetto alla possibilità di un reale passaggio verso fonti energetiche alternative nel futuro prossimo?

LB: Sì, penso che ci stiamo muovendo verso un “picco”. Questi picchi non sono facili da predire. Per esempio quando il muro di Berlino è stato abbattuto nel 1989 è stato l’inizio di una rivoluzione politica che alla fine ha portato al cambiamento nelle forme di governo in tutta l’area dell’Europa dell’est. La cosa più interessante e che nessuno si è accorto che tutto ciò stava per accadere. É semplicemente accaduto: improvvisamente, eccolo lì! Io credo che stia per succedere una cosa simile sulla questione climatico-energetica. Non è ancora chiaro e non è ancora possibile dire se accadrà il prossimo mese o l’anno prossimo, ma ci stiamo avvicinando. Ho parlato del carbone ma potrei parlare anche delle automobili per esempio. Negli Stati Uniti il mercato delle auto è crollato di quasi 4 milioni di mezzi l’anno scorso, il che significa circa il 2%  e ci aspettiamo che si riduca ancora.

OS: Lei fa riferimento al nostro mondo occidentale, gli Stati Uniti e probabilmente l’Europa. Ma succederà lo stesso anche in paesi industrialmente emergenti come Cina e India?

LB: La Cina intende diventare il paese leader nella costruzione della nuova economia energetica. Si stanno impegnando molto. Hanno iniziato un programma di sfruttamento dell’energia eolica. Un’agenzia governativa sta coordinando la costruzione di sette megacomplessi eolici. Il più piccolo dovrebbe produrre 10.000 megawatt, il più grande addirittura 30.000. Tutti insieme arriveranno a produrre circa 135.000 megawatt di energia, che corrispondono alla produzione di 135 centrali a carbone. Il mondo non ha mai visto una simile pianificazione energetica. I cinesi hanno, nel complesso del loro territorio, molto vento da sfruttare, una risorsa enorme, più di quanta ne potranno mai usare. Le cose in Cina stanno cambiando. Stavo leggendo un articolo questa mattina: stanno chiudendo le centrali a carbone nei pressi di Pechino, parzialmente a causa dell’inquinamento dell’aria, e in parte perché ormai le considerano obsolete e si stanno muovendo verso altre forme energetiche, il sole, il vento (e stanno anche iniziando con quella geotermica).

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.