Tartarughe “domestiche” tra legislazione ed ecologia
Entro agosto va dichiarato il possesso di tartarughe del genere Trachemys, presenti in molte case come pet ma diventate specie invasiva proprio a causa di proprietari irresponsabili che le hanno abbandonate nell'ambiente.
Mancano ancora poche settimane al termine ultimo per denunciare il possesso di una tartaruga Trachemys scripta: entro il 31 agosto, i privati cittadini e i Comuni sono tenuti a compilare il modulo online sul possesso di piante o animali invasivi. E tra questi ultimi c’è, appunto, Trachemys scripta, la tartaruga palustre americana o “tartaruga dalle orecchie rosse” (o gialle, a seconda della sottospecie), originaria degli Stati Uniti orientali e del Messico orientale e giunta in Europa per diventare uno dei rettili più comuni tra quelli tenuti come pet. Negli anni, gli individui fuggiti o rilasciati in natura da proprietari non più interessati a mantenerli si sono rivelati del tutto in grado di cavarsela e si sono stabiliti a danno delle specie autoctone. Ed è questo il punto di partenza che porta all’obbligo di denuncia.
La tartaruga aliena
Trachemys scripta, nelle sue sottospecie T. s. elegans, T. s. scripta e T. s. troostii, è stata introdotta in Europa fin dagli anni Settanta, e ora la sua popolazione è ritenuta stabile in diversi Paesi, tra cui l’Italia, dove si trova in tutte le regioni, isole comprese. Il sito delle specie invasive di ISPRA riporta che per decenni la tartaruga palustre americana ha rappresentato uno dei più popolari animali da compagnia non convenzionali, e che in soli dieci anni (tra il 2002 e il 2012) dagli Stati Uniti ne sono stati esportati oltre 100 milioni di esemplari.
«Trachemys scripta elegans andava particolarmente di moda fino a una trentina d’anni fa, quando non era raro che venisse data ad esempio come premio alle fiere», racconta a OggiScienza Mirko Giorgioni, vice-presidente dell’Associazione Tarta-Club Italia, una no profit per la salvaguardia delle tartarughe nata nel 2002. «Nel 1997, la sottospecie è stata inserita nell’allegato B della Convenzione di Washington o CITES, per cui ai commercianti erano richiesti specifici certificati che ne garantissero la tracciabilità. Quindi il commercio, seppur non vietato, si è per comodità spostato sulle altre due sottospecie, che pure sono tutte interfeconde».
Tuttavia, come molti altri animali esotici, anche le tartarughe sono di gestione solo apparentemente semplice. «Si tratta di animali che vivono a lungo e possono aumentare molto in dimensione», spiega Giorgioni. «Le cure che richiedono in termini di pulizia e corretta alimentazione, e gli spazi di cui hanno bisogno, implicano molte attenzioni da parte dei proprietari. E, purtroppo, in molti preferiscono abbandonarle quando la gestione diviene troppo impegnativa». Ecco così i rilasci in natura di Trachemys scripta: tra gli esemplari abbandonati illegalmente e quelli fuggiti («Le tartarughe sono bravissime a crearsi vie di fuga», commenta Giorgioni), la tartaruga palustre americana è arrivata anche ai laghetti italiani. E qui si è rivelata un vero problema.
Trachemys scripta compete infatti con Emys orbicularis, la tartaruga palustre europea (considerata unico rappresentante in Europa fino al 2005, quando un’indagine genetica rivelò anche l’esistenza della specie Emys trinacris, endemica della Sicilia). La Red List della IUCN classifica Emys orbicularis come “prossima alla minaccia”: ai danni causati alla popolazione da fattori come la bonifica delle aree umide e il degrado ambientale, vanno aggiunti quelli della competizione con la più grossa e vorace tartaruga americana. Il sito sulle specie invasive dell’ISPRA riporta infatti che le maggiori dimensioni e un più veloce raggiungimento della maturità sessuale di Trachemys rappresentano dei vantaggi competitivi sulla controparte europea. Le due specie competono sia per le risorse trofiche che per i siti di deposizione delle uova e di basking, ossia i luoghi in cui le tartarughe regolano al sole la propria temperatura corporea. A ciò si aggiunge l’aumento del rischio di trasmissione di agenti patogeni dovuto alle Trachemys rilasciate in natura.
La normativa italiana ed europea
Trachemys scripta rientra tra le specie elencate nel Decreto legislativo 230/2017, che recepisce in Italia il Regolamento UE 1143/2014. Quest’ultimo descrive le disposizioni per gestire e dove possibile prevenire la diffusione delle specie invasive nell’Unione europea, raccolte in una lista aggiornata periodicamente, che attualmente conta 49 specie tra animali e vegetali ritenute “di rilevanza unionale”.
Il Decreto 230/2017, entrato in vigore a febbraio 2019, vieta l’introduzione e il transito sul territorio nazionale, la riproduzione, il trasporto, l’acquisto, la vendita, il rilascio e la detenzione degli animali inseriti nella lista (alcuni dei quali, come il procione, non possono comunque essere tenuti come animali domestici perché considerati pericolosi per l’incolumità e la salute pubbliche, come OggiScienza ha ricordato qui). E, per i cittadini che già convivono con questi animali, ecco l’obbligo di denuncia al Ministero dell’Ambiente (via raccomandata con ricevuta di ritorno, fax o PEC), prorogato di circa un anno e in scadenza il 31 agosto. Le sanzioni previste per chi non rispetta il decreto sono severe, e arrivano all’arresto fino a tre anni e sanzioni tra i 10.000 e i 150.000 euro per il rilascio in natura.
L’obbligo di denuncia vale tanto per i privati cittadini quanto per i Comuni nei cui territori è presente Trachemys scripta, di solito esemplari provenienti da abbandoni, scrive il WWF Italia in una nota. Ma come evitare questi ultimi? Cosa può fare un proprietario che non voglia più tenere o non voglia denunciare la tartaruga?
I centri di raccolta
Purtroppo, la risposta è al momento incompleta, perché il Decreto prevede che le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano possono autorizzare enti, oppure strutture pubbliche o private, alla detenzione definitiva di questi animali. La misura, che ha lo scopo di contrastare i rilasci in natura (contribuendo così al controllo della specie), permetterebbe anche di tutelare il benessere degli animali, che potrebbero essere accolti in impianti idonei. Le strutture autorizzate alla detenzione, specificano le Linee guida redatte dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con ISPRA e con la Societas Herpetologica Italica, devono impedire la riproduzione delle tartarughe, con misure che vanno dalla separazione dei sessi all’impedire la deposizione o la schiusa delle uova con strategie ambientali (ad esempio, eliminando il terriccio o la sabbia in cui le tartarughe possono seppellire le uova, oppure tenendo queste ultime in zone fortemente ombreggiate). Inoltre, le strutture devono prendere ogni precauzione per impedire la fuga accidentale degli animali.
Entrambi questi aspetti valgono anche per i privati cittadini e i Comuni. Per quanto riguarda la riproduzione delle tartarughe, è bene ricordare che esiste anche la possibilità di farle sterilizzare. «È una soluzione che assicura che non nascano piccoli. L’operazione avviene tramite endoscopia, e il costo è relativamente basso, ma sono ancora pochi i veterinari che la praticano», spiega Giorgioni.
«La nostra Associazione, in collaborazione con l’AUSL Romagna-Forlì, si occupa da anni di specie alloctone di tartarughe, che ospitiamo in un centro di recupero a Cesena. Ogni anno accogliamo centinaia d’individui, e la stragrande maggioranza proviene da privati che li cedono», spiega ancora Giorgioni. «Il problema, per un proprietario che volesse lasciare o non volesse denunciare la propria Trachemys, è che al momento non tutte le regioni hanno un centro riconosciuto ufficialmente per la raccolta delle tartarughe. Per ora, quindi, i proprietari non possono che aspettare l’attivazione dei centri regionali».
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