Un mese fa l’incidente di una piattaforma petrolifera ha riversato una chiazza di petrolio su 50 chilometri di costa egiziana, vicino Hurghada. Ma la vicenda è stata insabbiata. Inchiesta di Oggi Scienza
AMBIENTE – Un’altra marea nera. Ancora petrolio che finisce in mare e fugge da tutte le parti, facendo danni all’ecosistema e mettendo in crisi l’economia locale. È successo un mese fa in Mar Rosso, dove una chiazza di greggio ha stretto con il suo abbraccio viscido 50 km di costa da El-Gouna, a nord di Hurghada, giù fino a Sahl Hasheesh. In questo caso, a differenza di quello che sta accadendo nel golfo del Messico che è sotto l’occhio vigile di tutto l’Occidente, è difficile stabilire con precisione cosa sia successo e quando.
Non c’è stata da parte di nessuna istituzione una comunicazione ufficiale. È probabile che l’incidente sia avvenuto il 16 giugno, ma a chi appartiene la piattaforma offshore (se di piattaforma si tratta) da cui il petrolio è fuoriuscito e quali danni ambientali abbia provocato (ma si temono ripercussioni a lungo termine) non è ancora possibile saperlo, almeno ufficialmente.
Gli indizi portano tutti alla compagnia Petro Gulf controllata dal governo che però, tramite il suo portavoce Khaled Boraie, smentisce seccamente ogni implicazione nella vicenda. Fonti non ufficiali hanno però lasciato trapelare l’esistenza di fotografie e di un video che non lascerebbero dubbi. La segnalazione dell’incidente è arrivata da Hamdy Shahat, un pescatore locale che durante una battuta di pesca si è ritrovato con la sua barca nel bel mezzo della chiazza oleosa.
“Siamo preoccupati per il danno ambientale che ancora non conosciamo, abbiamo però avuto rassicurazioni che i responsabili pagheranno”, afferma Amr Ali, direttore esecutivo di Hepca (www.hepca.com) l’agenzia per la conservazione e la protezione del Mar Rosso che in questa zona ha avviato un progetto di monitoraggio e di ricerca in mare che coinvolge anche tre biologhe italiane.
Le indagini per stabilire cosa è successo sono ancora in corso ma l’emittente araba Al Jazeera (http://www.youtube.com/watch?v=n49AjUlI8Lo) ha parlato di insabbiamento della vicenda da parte delle autorità. Sameh Fahmi, ministro del Petrolio, ha assicurato la massima collaborazione mentre il Ministero dell’ambiente ha deciso di istituire una commissione per valutare il danno economico, ammesso che sia quantificabile in termini monetari la distruzione provocata dal petrolio giunto sulle barriere coralline delle Northern Island: Alphenadir, Alsgup e Abu-Helix che dal 2004 sono parco nazionale protetto.
I biologi ritengono che il danno sia limitato a queste isole, grazie alle forti correnti e al vento che hanno spinto il petrolio verso la costa di Hurghada piuttosto che lasciarlo lentamente affondare sulla barriera corallina e sui fondali sabbiosi. Questo ha certamente facilitato le operazioni di recupero del materiale che ha visto al lavoro circa 2000 persone, compresi i lavoratori delle strutture turistiche della zona.
Oggi, a distanza di un mese, a Hurghada del petrolio non c’è traccia; le spiagge sono pulite, il turismo che qui rappresenta una risorsa fondamentale, dopo una drastica riduzione iniziale, è ripreso: un terzo dei 12 milioni di turisti che arriva in Egitto, sceglie le spiagge di Hurghada. “Abbiamo recuperato tutto il petrolio, ma non è una soluzione” – afferma Sameh Hwaidak, a capo della Red Sea Hotel Association – la soluzione è di fermare queste piattaforme così vicine alla spiaggia e ai centri turistici.
Questo avamposto di hotel e villaggi lussuosi, sorto in pochi anni da un piccolo villaggio di pescatori, rappresenta una risorsa formidabile per il governo egiziano, che non vorrà di nuovo metterne in discussione l’integrità e la bellezza, altrimenti il rischio è di veder scomparire i turisti per sempre e questo l’Egitto non può permetterselo. Così come non potrà nuovamente permettersi una mancanza di trasparenza così evidente nel caso si ripeta un altro incidente. Stonano difatti le dichiarazioni del governo secondo cui la falla è stata già chiusa quando al tempo stesso si dichiara che non è ancora stata individuata la società responsabile di quanto accaduto.
L’Egitto produce 685.000 barili di petrolio al giorno, e almeno il 70% arriva dal Mar Rosso che è un ecosistema tanto straordinario quanto fragile. La sfida, per questo paese, sarà in futuro far convivere l’industria petrolifera con l’equilibrio biologico di questo mare.