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Ogm: consigli per una convivenza pacifica

CRONACA – L’ufficio europeo per la coesistenza propone una nuova lista di buone pratiche per evitare la contaminazione tra mais transgenico e mais da agricoltura tradizionale o biologica.

La prima raccomandazione è la più intuitiva: non mischiare i semi GM (geneticamente modificati) con quelli tradizionali se non vuoi trovarti con un raccolto che doveva essere, poniamo, biologico, e risulta invece transgenico. Seguono altre indicazioni su come evitare le possibili contaminazioni tra piante GM e piante da agricoltura tradizionale o biologica: dalle distanze di sicurezza tra campi di diverso tipo allo stoccaggio sicuro. Le propone, in modo specifico per il mais, l’Ufficio europeo per la coesistenza, con un documento pubblicato pochi giorni fa .

In realtà, linee guida simili erano già state formulate qualche anno fa, con una raccomandazione specifica della Commissione europea, datata 23 luglio 2003. Ora però si è sentito il bisogno di definirle meglio, e per un motivo ben preciso, che ha a che fare con uno dei pilastri su cui si basa la possibilità di coltivare piante GM in Europa, e cioè il principio di coesistenza. In breve: raccolti GM e raccolti tradizionali o biologici devono poter coesistere, in modo che agli agricoltori e ai consumatori sia lasciata libertà di scelta – nell’ambito ovviamente della cornice normativa posta dalla stessa Ue e da eventuali indicazioni nazionali – su quali raccolti preferire.

Il problema, però, è che l’agricoltura non è un sistema chiuso, per cui c’è la possibilità che organismi GM finiscano in un raccolto che non dovrebbe esserlo. La legislazione europea stabilisce una soglia dello 0,9% sotto la quale la presenza di tracce di organismi GM in prodotti tradizionali non deve essere resa nota in etichetta. Bene: le linee guida del 2003 si riferivano proprio a strategie per assicurare la coesistenza in questo quadro normativo, cioè per rispettare la soglia dello 0,9%.

Una nuova raccomandazione della Commissione, emessa il 13 luglio scorso, cambia però le carte in tavola. Questa raccomandazione tiene conto del fatto che la soglia dello 0,9% non sta bene a tutti, e che ci sono situazioni e paesi in cui, per ragioni di mercato e di preferenza dei consumatori, i produttori hanno bisogno di garantire livelli di contaminazione inferiori allo 0,9% e prossimi allo zero (ed è inevitabile pensare alla questione dei campi di mais GM in Friuli: qui qualcosa per  ricordare e qui un aggiornamento). Ed ecco allora spiegata la ragione delle nuove indicazioni dell’Ufficio per la coesistenza; indicazioni che permettono di raggiungere la soglia dello 0,9%, ma offrono anche alcune soluzioni flessibili che possono essere adottate da chi voglia ridurre ulteriormente il rischio di contaminazione.

Le buone pratiche, lo ripetiamo, si riferiscono esclusivamente alla coltivazione del mais, e a questo proposito può essere utile un punto della situazione sulla coltivazione di questo cereale in Europa. Nel 2009 sono stati 5,6 milioni gli ettari coltivati a mais, con Francia e Germania al primo posto nella coltivazione (1,5 milioni di ettari ciascuno). Il principale produttore di mais biologico è l’Italia (1,8% della produzione totale), mentre la palma di produttore di mais GM (MON810, l’unico autorizzato in Europa) spetta alla Spagna. Nel 2009 l’adozione di mais GM da parte degli agricoltori spagnoli è stata pari al 22% del totale.

L’esempio più semplice tra le nuove buone pratiche per la coesistenza riguarda le distanze di coltivazione tra raccolti GM e raccolti tradizionali: se si accetta una soglia dello 0,9%, i due tipi di campi devono essere a una distanza di 15-50 m; se invece si punta a una soglia dello 0,1% bisogna salire a 105-500 metri, a seconda delle condizioni relative del territorio (per esempio la direzione dei venti). Altre misure proposte la presenza di zone tampone (zone coltivate a mais non GM poste attorno ai campi transgenici, di cui si accetta la contaminazione), l’isolamento temporale (coltivazione di varietà con tempi di fioritura differenti) e, ovviamente, l’utilizzo di macchinari di raccolta e ambienti di stoccaggio diversi per i due tipi di prodotti o, almeno, puliti in modo appropriato. Il documento riconosce però che possono esistere situazioni in cui l’applicazione delle linee guida è più complessa che in altre (per esempio in territori in cui i campi hanno dimensioni inferiori alle distanze di sicurezza raccomandate). In questo caso, auspica l’apertura di tavoli di discussione tra gli agricoltori, per ridurre il problema in base alle esigenze locali.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance