NOTIZIE – Secondo la teoria darwiniana la selezione naturale ha la vista corta. Agisce a livello del singolo individuo: un tratto viene conservato nelle generazioni successive solo se porta vantaggio nel corso dell’arco di vita (o ancor meglio entro la fine del periodo riproduttivo) dell’organismo. Quello che fa bene all’individuo però a volte può essere controproducente per la specie e portarla all’estinzione.
Già da qualche tempo gli scienziati evoluzionisti (Stephen J. Gould era uno di questi) hanno iniziato a ipotizzare l’esistenza di meccanismi di selezione che agiscono anche a livello della specie: tratti che pur essendo meno vantaggiosi sul breve periodo (a livello individuale) possono aumentare la fitness della specie e dunque garantirne la prosperità a lungo, aumentando anche le possibilità che quella specie si diversifichi eventualmente in nuove specie (tasso di diversificazione).
Quando le forze evolutive tirano in direzioni diverse si possono osservare effetti interessanti, che possono dare come risultato una grande varietà di specie con caratteristiche molto diverse fra loro anche se appartengono tutte alla stessa famiglia.
È il caso per esempio delle solanacee, la famiglia di vegetali che comprende specie come la patata, il peperone, il pomodoro, la melanzana e il tabacco. Emma Goldberg e colleghi hanno pubblicato di recente su Science uno studio proprio su questi vegetali: le osservazioni della scienziata sono un esempio interessante dell’interazione fra queste forze evolutive a scala diversa.
Le solanacee sono piante in grado di autofertilizzarsi: la stessa pianta porta su di sè sia gli organi sessuali femminili che queli maschili. Non tutte le specie però, permettono questa autonomia riproduttiva agli individui e costringono le piante a incrociarsi.
I vantaggi immediati della riproduzione “autonoma” sono evidenti: la stessa pianta ha più probabilità di fertilizzarsi di una che ha bisogno di un partner, e trasferirà ai suoi discendenti il 100 % dei geni, anziché solo metà, come avviene nella riproduzione sessuata. Dunque sul breve periodo una pianta in grado di auto fertilizzarsi avrà una progenie più nutrita e soprattutto trasmetterà una porzione maggiore del suo patrimonio genetico alle generazioni future. La selezione dovrebbe perciò favorire quelle specie autofertilizzanti a scapito delle altre.
Sul lungo periodo però la riproduzione sessuata (si sa) hai suoi vantaggi: la progenie nata così infatti è maggiormente protetta dalle mutazioni genetiche nocive ed è più capace di adattarsi ai mutamenti ambientali. Con l’andar del tempo dunque i figli (e i nipoti, bisnipoti, ecc.) di due genitori saranno più numerosi.
Grazie a un modello matematico Golberg e colleghi hanno misurato il tasso di diversificazione delle specie autofertizzanti e di quelle non autofertilizzanti. “Le specie che impediscono l’autofertilizzazione sono quelle con un tasso più alto di diversificazione” ha spiegato Goldberg. I benefici a breve termine si oppongo a quelli a lungo termine. Questo significa che sia le caratterstiche individuali che quelle a livello di specie plasmano l’evoluzione di un gruppo di piante.
“L’opposizione di queste forze, il continuo bilancio dinamico fra le due spiegherebbe la grande variabilità nella famiglia delel solanacee,” ha spiegato Goldberg. Il modello usato per questa ricerca potra ora essere applicato ad altre specie vegetali