COSTUME E SOCIETÀ

Metti una sera al bar. Con Freud

COSTUME – A Milano sono partiti gli “Aperitologi”, aperitivi con lo psicologo. E noi di OggiScienza siamo andati a vedere…

Per la serie “provati per voi”: quando il tam tam di una nuova declinazione del rito serale milanese per eccellenza – l’aperitivo – ha raggiunto anche noi, non abbiamo esitato. E così ieri sera via all’inaugurazione dell’Aperitologo, l’aperitivo con lo psicologo dentro, organizzato dai creativi dell’associazione milanese Unconventionall gens con il patrocinio dell’Ordine degli psicologi della Lombardia. Ma anche con la collaborazione di qualche sponsor che, tra prodotti omeopatici, fiori di Bach e massaggi, sembrava più adatto a un evento legato a un generico benessere olistico che alla psicologia .

Location: un loft ricavato nelle strutture che ospitavano la fabbrica di argenteria Krupp, non molto distante dalla stazione centrale di Milano. Luci soffuse, musica ambient, incensi, la zona bar (beviamo un Ace-Jung o un Banan-Freud?), le creazioni di un gruppo di designer milanesi (sacchi di coraggio, pazienza spray, fustini di autostima, barattoli di coccole, muffin al “trovo parcheggio” o al “non sono di fretta”, pillole di saggezza…). Diverse le proposte per la serata (da prenotare in anticipo): il piatto forte è un colloquio breve con uno psicologo, che si presenta solo come tale, senza dichiarare nome e cognome. “Perché”, spiega Serena Basile di Unconventionall gens, psicologa a sua volta, “lo scopo non è l’autopromozione di singoli professionisti”. E poi sedute di psicoacustica e di massaggi shiatsu e colloqui in un “confessionale laico”: si parla con un cuoco, che alla fine ti regala una ricetta. Si replica per tutti i lunedì di novembre.

Ma che scopo ha una serata del genere? “Siamo partiti da una riflessione generale: con l’incalzare della crisi c’è stato sul territorio un incremento ben percepibile del malessere anche psicologico delle persone”, spiega Basile. “Si sta registrando un aumento del consumo di psicofarmaci, ma non un aumento proporzionale del ricorso a psicoterapie o a colloqui con psicologi. Forse perché andare dallo psicologo spaventa (accettare di averne bisogno significa riconoscere la propria fragilità, il proprio disagio), forse perché è ancora un tabù, una cosa di cui vergognarsi. Da qui l’idea di un’iniziativa informale che riducesse le distanze tra psicologi e gente comune”. Ovviamente non si tratta di incontri “clinici”: non c’è diagnosi né tanto meno ci sono alla fine indicazioni pratiche di comportamento. Solo una condivisione empatica di un momento.

Che sia informale è sicuro (viene spontaneo pensare, per contrasto, alla tristezza di certe sale d’aspetto nei centri psicosociali pubblici o all’ambiente ovattato, tra tappeti e poltrone in pelle, di molti studi privati). Che lo sia troppo? Qualche perplessità c’è: tra gli incensi, i massaggi, i fiori di Bach per “migliorare le capacità relazionali” e la musica sembra di stare più in un centro relax che in un centro di ascolto. Come dire: una bella serata, magari da passare con un’amica, ma la psicologia? Chiediamo a un po’ di partecipanti (sui 30-40 anni, in maggioranza donne): dichiarano di essere lì per curiosità, per passare una serata diversa, per provare lo shiatsu. Psicologia poca…

L’impressione è che il canale possa funzionare per attirare persone che tutto sommato hanno solo bisogno di crearsi uno spazio e un tempo per sé, tirandosi un attimo fuori dai frenetici ritmi milanesi, ma non chi vive davvero un disagio psicologico profondo. Molto probabilmente persone con difficoltà del genere non partecipano proprio a serate di questo tipo. E su questo punto concorda in pieno Mauro Vittorio Grimoldi, presidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, che dà dell’iniziativa un giudizio discreto, ma con riserva. “Di sicuro eventi così non servono a convincere una persona con disturbi psicologici o con disagi a intraprendere un percorso di assistenza psicologica. Però l’idea di presentare lo psicologo in modo diverso rispetto allo stereotipo classico della figura silenziosa seduta dietro al lettino del paziente è davvero buona e può esserci utile. Già oggi molti di noi non lavorano in studio, ma direttamente nel tessuto sociale: nelle scuole, nelle aziende, là dove ci sono situazioni d’emergenza come è stato in Abruzzo. In molti di questi contesti il pregiudizio che siamo i ‘dottori dei matti’ ci crea non poche difficoltà, per cui ben vengano iniziative che aiutano a sdoganarci”. E la riserva? “Per alcuni sponsor, e per l’abbinamento non molto appropriato con attività e prodotti che niente hanno a che fare con la psicologia”. Una piccola ma netta presa di distanza, insomma: lo sdoganamento va bene,ma attenzione alle libertà eccessive: si rischia di creare confusione, che potrebbe nuocere alla causa.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance