“Uniche come me”, di Travaglione, Cavalli, Vagni
Un manuale dedicato ai professionisti che lavorano nell'ambito dello spettro autistico, per conoscere le differenze di genere e impostare un protocollo di terapia cognitivo-comportamentale per ragazze.
Nel 1993, uno dei primi studi di popolazione sull’autismo stabiliva un rapporto di 3:1 tra maschi e femmine, che passava a 2:1 includendo i casi considerati “dubbi”. Tre ragazzi autistici dunque (o addirittura due) per ogni ragazza. Sulla reale prevalenza c’è ancora incertezza, e gli studi scientifici mostrano dati discordanti, ma ci si è assestati su un valore di 3:1. Nel frattempo sono passati circa 30 anni, eppure ancora oggi molti professionisti della salute si formano studiando dati non aggiornati, come la prevalenza di 8:1. Questo si riflette sul loro modo di fare diagnosi, basandosi su criteri elaborati a partire da maschi, ma anche nella pratica su quello di lavorare con i propri pazienti. Il risultato è un bias nelle conoscenze sull’autismo attraverso tutti i livelli di necessità di supporto, mentre molte bambine, ragazze e donne ricevono diagnosi scorrette o parziali.
Lo raccontano bene Sara Travaglione, Letizia Cavalli e David Vagni nel libro Uniche come me. Terapia cognitivo-comportamentale per ragazze nello spettro autistico (edra 2021, 232 pagine, 25 euro), dove documentano un protocollo scientifico dedicato alle ragazze preadolescenti e adolescenti con diagnosi di ASD livello 1 /sindrome di Asperger – ed eventuali comorbidità come disturbi d’ansia, ADHD, disturbi dell’alimentazione, depressione – ideato e sperimentato presso il centro Cuorementelab di Roma.
L’obiettivo finale sembra chiaro: permettere a queste ragazze di capirsi, di ascoltarsi, di riflettere sui propri comportamenti e sul rapporto con il prossimo, costruendo gradualmente un’identità consapevole che si basi su ciò che realmente sono e su come sperimentano il mondo circostante. Il protocollo descritto nel libro è pensato per psicologi ed educatori, ma potrebbe essere svolto anche da insegnanti specializzati, logopedisti, neuropsichiatri o altre figure con conoscenze specifiche ed esperienza pregressa di lavoro con adolescenti nello spettro autistico.
Differenze di genere
Sempre più evidenze, compresi gli studi qualitativi sulle esperienze di singoli e piccoli gruppi, mostrano che ci sono importanti differenze tra ragazzi e ragazze nello spettro, e che queste ultime “hanno caratteristiche uniche in ogni aspetto dei criteri diagnostici”, scrivono gli autori. Tali differenze vanno dal modo di socializzare al racconto delle proprie emozioni, passando per la capacità di mimetizzarsi meglio (nascondendo la propria diversità), il cosiddetto camuffamento sociale.
Questa strategia di coping, nota anche come camaleontismo sociale o masking, non è una caratteristica unicamente femminile – può trovarsi in ogni sesso e genere – ma è stata proposta come possibile causa per le diagnosi tardive e/o errate nelle donne. Uno sforzo emotivo e cognitivo costante per “fingersi normali”, così lo descrivono in tante, che sgretola progressivamente il proprio senso d’identità. Inoltre, “ulteriori ostacoli sono il doversi adattare alle aspettative di ruolo all’interno della nostra cultura e la pressione di conformarsi ai ruoli femminili tradizionali”, aggiungono gli autori, ad esempio il fatto che “[…] In molti luoghi, spesso ci si aspetta ancora che le donne diano più valore alle relazioni che alle competenze tecniche”.
Il protocollo
Uniche come me è anche il nome del protocollo stesso, articolato in 16 incontri della durata di 90 minuti. Dopo un’introduzione esaustiva sul fenotipo “femminile”, in questo manuale gli autori descrivono dettagliatamente come organizzare le sessioni per un piccolo gruppo di 4-6 ragazze – con la libertà di adattarlo a incontri individuali -, dai materiali (le schede si trovano alla fine del manuale) e spazi necessari fino alla gestione di domande e comportamenti particolari, così come – a monte – alla prevenzione di possibili momenti di difficoltà. L’età di riferimento è la fascia 11-19, con particolare attenzione per le ragazze più piccole rispetto a temi come la sessualità e l’appartenenza a un genere.
Le componenti sulle quali si fonda il protocollo sono tre: la dimensione di gruppo, grazie alla quale le ragazze (che spesso raccontano di sentirsi sole, diverse, aliene) interagiscono tra loro in modo guidato, costruendo un senso di appartenenza; la psicoeducazione sulle caratteristiche dello spettro autistico con lieve necessità di supporto, dalle particolarità sensoriali fino a quelle sociali ed emotive; l’approccio terapeutico cognitivo-comportamentale. Ogni attività è strutturata e pianificata nel dettaglio in modo da evitare imprevisti e dare alle ragazze dei punti fermi rispetto allo sviluppo delle sessioni, alle richieste come i “compiti” per casa e alle possibilità nel caso ci si senta in ansia (es: prevedere un luogo separato nel quale la ragazza possa ritirarsi se sentisse il bisogno di stare sola, o fosse in sovraccarico).
La società
Come ricordano gli autori, il mondo conosce ancora poco l’autismo e a volte le conoscenze sono stereotipate o legate a quanto visto in film e serie tv. Per questo motivo, durante le sessioni si parlerà anche di come imparare a raccontarsi in modo consapevole, senza necessariamente sempre ricorrere alle etichette diagnostiche, ma descrivendo le proprie particolarità nei termini di modo di essere. Riflettere sulla comunicazione delle proprie caratteristiche “è una tematica trasversale a tutte le sessioni, perché tale condivisione riguarda le modalità differenti di approccio al mondo in vari ambiti (sensoriale, cognitivo, emotivo e sociale).
L’intero protocollo si basa su informazioni estremamente personalizzate sul funzionamento tipico delle persone autistiche e punta, di conseguenza, a fornire strumenti per aumentare la consapevolezza di sé e di formazione dell’identità, ma anche indicazioni pratiche per contesti complessi come le interazioni sociali. Ad esempio strategie per impostare una conversazione tarandosi sul contesto, sul rapporto umano con l’interlocutore, sul livello di confidenza e via dicendo.
L’obiettivo, come scrive nella prefazione Davide Moscone, è insegnare alle ragazze a “interagire, socializzare, regolare le proprie emozioni mentre scoprono e rispettano se stesse”. Non per mimetizzarsi meglio continuando ad adeguarsi alla realtà che le circonda, ma perché diventino “[…] advocate competenti in grado di esprimere i propri bisogni e i propri desideri” e possano trovare la propria unicità nella neurodiversità.
Nota: Nonostante siano stati introdotti diversi anni fa, i 3 livelli dell’autismo (descritto in base alla necessità di supporto lieve, moderata o severa) non sono ancora entrati a far parte del linguaggio quotidiano. Per questo nell’articolo viene impiegato anche il termine “sindrome Asperger”, non più presente nei manuali diagnostici ma che resta ampiamente usato nel linguaggio comune per parlare di autismo senza disabilità intellettiva e porta con sé una forte componente di appartenenza.
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