In Cina l’intelligenza artificiale è già in classe
Dal monitoraggio delle performance degli studenti alla ragazza robot iscritta a un corso di laurea, ecco come e perché gli algoritmi sono entrati nel sistema di istruzione cinese.
Hua Zhibing si è appena iscritta presso il Dipartimento di Informatica e Tecnologia dell’Università Tsinghua, Cina. Lo ha annunciato con un video sui social, dove si è presentata e ha spiegato al mondo di essere un po’ diversa rispetto ai compagni di corso: Hua, infatti, è un chatbot dotato di intelligenza artificiale.
Sviluppata da un professore della stessa università in cui si è iscritta, la studentessa virtuale si è dichiarata appassionata di letteratura e arte fin dalla nascita. E ha promesso che nei prossimi anni imparerà molto.
L’AI a scuola (e ovunque)
Un’inchiesta del Wall Street Journal già due anni fa mostrava come l’Intelligenza Artificiale avesse ormai fatto irruzione nelle aule cinesi fin dalle scuole elementari. Caschetti in grado di monitorare l’attività cerebrale degli studenti e individuare in automatico chi si distrae, telecamere che contano quante volte i ragazzi sbadigliano o guardano il telefono, con tanto di report dettagliati di performance inviati ai genitori, e addirittura sensori per monitorare le prestazioni durante le ore di educazione fisica.
La cosa non sorprende, se si pensa che lì già da qualche anno si è deciso di investire molto su queste tecnologie e per esempio è ormai prassi eseguire un pagamento elettronico inquadrando il proprio volto in una telecamera
“In questo momento i cinesi sono i più avanzati al mondo nel campo delle tecnologie di riconoscimento di immagini e video. Il loro utilizzo è fortemente criticato in Occidente quando si parla di controllo dei cittadini, tuttavia è bene non dimenticare che, come tutti gli strumenti, queste tecnologie si possono rivelare molto utili in altri contesti”, riflette Emanuela Girardi, fondatrice di Pop AI. Basta pensare ai sistemi per sbloccare il telefono che utilizzano il riconoscimento facciale o gli algoritmi di intelligenza artificiale per analizzare le immagini utilizzati durante la pandemia per aiutare i medici a identificare in tempi rapidi la tipologia esatta di infezione polmonare a partire dalle TAC dei pazienti.
Le vere sfide
Una delle partite più importanti, quindi, si gioca sull’etica. Anche la Cina ha legiferato in materia di intelligenza artificiale e privacy, con regolamenti che al primo impatto potrebbero sembrare anche più severi del GDPR europeo. Tuttavia, nella pratica, non mancano scappatoie ed eccezioni che consentono ad alcuni enti in determinate circostanze di utilizzare i dati. “Come abbiamo visto durante il periodo peggiore della pandemia, il contesto cinese è differente rispetto a quello europeo. Qui in Cina il raggiungimento di un obiettivo comune, definito dallo Stato, è ritenuto più importante rispetto al diritto alla privacy dei singoli che è invece considerato quasi inderogabile in Europa ”, prosegue Girardi.
“Quello della studentessa virtuale e della sua iscrizione all’università è un buon espediente narrativo per pubblicizzare la tecnologia che c’è dietro”, spiega. “Tra l’altro trovo molto interessante che si sia scelta proprio una giovane donna, in un mondo, quello dell’informatica e delle materie STEM a forte prevalenza maschile”.
Il cervello della ragazza artificiale gira grazie a un software che si chiama Wudao 2.0 ed è una versione potenziata (di circa 10 volte) del software – statunitense – GPT 3 (salito alla ribalta della cronaca qualche tempo fa per essere riuscito a scrivere un articolo sul Guardian).
Verso una nuova intelligenza
Non si tratta di una vera e propria novità, ma questo nuovo algoritmo sorprende per il numero altissimo di dati che riesce a processare: 1,75 trilioni di parametri, per simulare una conversazione, scrivere poesie e capire le immagini.
A pochi mesi di distanza dal lancio di Wudao 2.0, il record è già stato battuto da un nuovo algoritmo, questa volta coreano, che promette di analizzarne 2,04.
“Un numero pazzesco di parametri se pensiamo che le sinapsi cerebrali sono solo 100.000 miliardi , tanto che viene da chiedersi quanta potenza computazionale e quanta energia servano per fare l’addestramento di un tale modello e per farlo funzionare e il relativo’impatto ambientale o la cosiddetta impronta di carbonio della tecnologia.
Gli algoritmi di machine learning per diventare intelligenti seguono un vero e proprio allenamento, durante il quale processano enormi quantità di dati. Conducono esperimenti 24 ore su 24, perfezionando costantemente i loro modelli per settimane o addirittura mesi, durante le quali consumano molta energia.
“Dovremmo quindi chiederci fino a che punto sia giusto continuare a potenziare lo stesso modello. In realtà la ricerca di base si sta già indirizzando verso nuovi modelli per insegnare alle macchine ad estrarre la conoscenza partendo da meno dati. Oltre ad avere un impatto minore sull’ambiente sarebbe anche una soluzione migliore per gli ambiti dove i dati scarseggiano o non sono facilmente condivisibili per ragioni di privacy, come quello della salute”, conclude Girardi.
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