Benvenuti nell’era della blu economy. Dove balene, libellule, zebre, rane e altre specie insegnano alla tecnologia e all’industria a essere più sostenibili, più competitive, più produttive. La promessa: in 10 anni, 100 innovazioni e 100 milioni di posti di lavoro.
ECONOMIA – La green economy? È out. Lodevole, certo, ma sorpassata. “Ciò che è buono per l’ambiente è caro, e va bene solo per i ricchi. La greeen economy richiede sussidi statali, maggiori investimenti per le imprese, costi più alti per i consumatori. Nonostante le buone intenzioni, ha poche speranze di successo. Abbiamo bisogno di andare oltre”. A parlare è Gunter Pauli, economista, fondatore di Zeri (Zero Emissions Initiatives) e autore di “Blue Economy” (ed. italiana a cura del WWF). Lo abbiamo incontrato a Roma, in occasione della Aurelio Peccei Lecture. Perché ci ha incuriosito uno che si rivolge agli imprenditori dicendo: “Copiate dalla natura: non produce rifiuti, non ha disoccupati e garantisce benessere e risorse per tutti”. Scusi signor Pauli, sarebbe a dire?
“La natura ha già risolto in modi ingegnosi e sorprendenti molte delle sfide che il mondo ci pone. Per uscire dalla crisi, basta lasciarsi ispirare. La fisica, la chimica, la biologia degli ecosistemi ci offrono soluzioni innovative, a basse emissioni e elevato rendimento”, risponde serafico, con l’aria di chi ha trovato la panacea a tutti i mali. “Invece, che facciamo? Produciamo e consumiamo intaccando risorse non rinnovabili o danneggiando in modo permanente l’ambiente. È insensato. Lo sa che quando beve una tazzina di caffè usa solo lo 0,2% dei chicchi, mentre il resto marcisce, generando gas metano e mettendo in crisi l’ambiente?”. Veramente no, non lo sapevo. Ma lo ammetto: non sono disposta a rinunciare alla mia dose di caffeina quotidiana per salvare il pianeta. Gunter Pauli mi spiega che si tratta di cambiare prospettiva.
“La blu economy affronta le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione. Lo scopo non è investire di più nella tutela dell’ambiente, ma spingersi verso la rigenerazione. La blu economy è innovazione, creatività, adattamento e abbondanza”. Okay, come la mettiamo con la mia tazzina di caffè? È qui che mi sorprende. “Gli scarti del caffè sono ottimi per coltivare funghi, che crescono rigogliosi sulla lignocellulosa, principale componente dei chicchi. Si può costruire un flusso a cascata che trasforma i rifiuti del caffè in alimenti di qualità superiore. Non è il compostaggio della green economy, qui siamo oltre. Si generano soldi dal nulla, più posti di lavoro, più salute”. Si fa già nelle piantagioni in Colombia, in Zimbawe, e l’esperienza è stata collaudata nei bar di Berlino e San Francisco: i fondi dei caffè serviti ai clienti la mattina si usano per prepare prelibati risotto ai funghi la sera.
È il primo dei 100 esempi che Gunter Pauli propone come nuovo modello di business. Un catalogo di progetti non solo realizzabili, ma già realizzati in diverse parti del mondo. Innovazioni sostenibili, competitive, convenienti. L’obiettivo: 10 anni, 100 innovazioni, 100 milioni di posti di lavoro. Giusto per avere qualche idea di cosa sia la biomimetica, o la “scienza ispirata alla natura”. Guardiamo i coleotteri del deserto del Namib (un posto dove cadono appena 1,27 cm di pioggia all’anno): riescono a sopravvivere grazie a un rivestimento che raccoglie le minuscole gocce d’acqua della nebbiolina mattutina. La tecnica del coleottero è stata utilizzata per catturare il vapore acqueo dalle torri di raffreddamento, recuperando il 10% dell’acqua perduta. Le zebre, con le loro strisce bianche e nere, creano micro-correnti d’aria che stabilizzano la temperatura. Potremmo copiarle, anziché riempire case e uffici d’impianti d’aria condizionata. L’ha fatto il gruppo Daiwa House a Sendai, in Giappone. Termostato alla mano, d’estate la temperatura nell’edificio è di cinque gradi in meno. I pinguini, che bevono l’acqua di mare, possono suggerirci come desalizzare l’acqua naturalmente. Dai delfini possiamo apprendere l’efficiente trasmissione acustica sottomarina: l’azienda EvoLogics ha costruito così un modem hi-tech per l’allerta tsunami nell’Oceano Indiano.
L’elenco potrebbe proseguire con i fili di seta di ragno al posto delle lamette da barba al titanio. O i cellulari senza batterie che si ricaricano per effetto del calore del corpo e delle vibrazioni della voce (ideali per confronti accesi: più si parla a voce alta, più è lunga la conversazione). Un prototipo del genere, sviluppato al Fraunhofer Insitute, in Germania, è basato sul funzionamento del cuore delle balene. Ogni caso è affascinante. Ma sorge il dubbio che non bastino questi esempi virtuosi.
Come la mettiamo con l’energia? “Occorre ingegnarsi. Le rinnovabili non bastano. Il nucleare è costoso, c’è la questione irrisolta delle scorie, e basta un solo incidente per distruggere uno Stato”, dice Gunter Pauli. “La più grande e affidabile fonte energetica del mondo è la gravità. Attiva 24 ore al giorno, non solo quando soffia vento e c’è il sole. Si può sfruttare per generare piezoelettricità, prodotta dalla pressione. Ogni edificio esercita una tale pressione che basterebbe mettere cristalli tra i piani per garantire l’autonomia energetica o progettare case che producano elettricità sfruttando il calpestio del pavimento”. Un progetto pilota è in corso a Torino, eletta capitale mondiale del Design nel 2008. Si può ricavare energia anche dal ph, dal differenziale termico, dal movimento, persino dalla CO2. E poi, ci vuole ingegno per sfruttare di più l’esistenza. Come è accaduto in Buthan dove sui piloni della luce sono state montate turbine eoliche.
Insomma, secondo il guru della blu economy, bisogna cambiare testa. Non produrre in grande scala, ma agire localmente e con un approccio integrato. “Smetterla di pensare in termini di core business, e ragionare in reti, per cui gli scarti di un ciclo diventano materie prime di un altro, utilizzando tutto ciò che si ha a disposizione. Anche se puzza”. Come si fa in Benin, dove gli scarti dei macelli attirano mosche che, anziché esser sterminate con prodotti chimici, vengono sfruttate per produrre larve, che forniscono mangime a pesci e quaglie, concime al terreno e persino medicinali per curare le ferite (gli enzimi contenuti nella saliva dei vermi sono potenti antibiotici).
Secondo Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia, “la blu economy è una rivoluzione culturale alla portata di tutti, che dal basso potrà cambiare il mondo”. E chissà, forse hanno ragione loro.