Uno studio dell’università di Cairns in Australia sconfessa i dati sulla crescita delle foreste forniti dal governo indiano. I satelliti utilizzati non distinguono le foreste native dalle piantagioni.
AMBIENTE – Le foreste dell’India sono aumentate del 5% negli ultimi dieci anni. È questo il dato ufficiale fornito dal rapporto The India State of Forest Report 2009, pubblicato dal Forest Survey of India (FSI).
Le foreste dell’India stanno scomparendo ad una velocità del 2,7% all’anno. È questo il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista Conservation Letters da William Laurance, biologo presso la James Cook University di Cairns, Queensland (Australia).
Chi ha ragione?
Secondo le ricerche di Laurance i dati governativi possono essere considerati tecnicamente corretti ma nella sostanza sono ingannevoli.
Infatti nel territorio indiano a crescere sono state le piantagioni di alberi non nativi, come l’acacia e l’eucalipto, utilizzate per fornire legname e legno combustibile, incentivate peraltro dalla vendita di crediti di carbonio nell’ambito del Clean Development Mechanism nel 2001. In realtà la crescita di piantagioni commerciali ha mascherato il forte calo delle foreste native.
Ma allora dove sta l’inghippo?
Nell’analisi, i ricercatori dell’università di Cairns hanno preso in considerazione i dati sulla crescita delle piantagioni indiane, pubblicati dalla FAO. Risulta che tra il 1995 e il 2005, le piantagioni del paese sono cresciute di circa 15.400 chilometri quadrati all’anno. A questo punto i ricercatori hanno sottratto il tasso di espansione delle piantagioni dalla crescita della copertura forestale totale, misurata con gli strumenti satellitari.
Il risultato è sorprendente, quanto allarmante: la superficie delle foreste naturali indiane è in realtà diminuita tra il 1,5 e il 2,7% tra il 1995 e il 2005, pari alla perdita di oltre 124 mila chilometri quadrati nel corso del decennio.
Dagli studi di Laurance sembra che il problema sia nella tecnologia utilizzata per la mappatura delle aree verdi.
La gran parte dei rapporti sulla copertura forestale, a cominciare da quelli della FAO, non distinguono tra foreste native e piantagioni. Solitamente queste valutazioni si basano su rilevazioni di scarsa qualità, come quelle fornite dai satelliti della US National Oceanic e Atmospheric Administration’s Advanced Very High Resolution Radiometer, che hanno una risoluzione di 1,1 chilometri quadrati per pixel.
Piccolo particolare: i ricercatori della James Cook University ricordano che la Forest Survey of India dispone di satelliti con una risoluzione molto più elevata (fino a 23,5 metri quadrati per pixel) e quindi avrebbe tutti i mezzi per distinguere foreste native da piantagioni di alberi non nativi.
Laurance confida che, al di là degli interessi politici ed economici (il governo indiano fa ottimi affari con la crescita delle piantagioni), l’iniziativa REDD+ promossa dalle Nazioni Unite per ridurre le emissioni di carbonio derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale, includa una serie di vincoli precisi sulla protezione delle foreste e su una loro gestione sostenibile, incoraggiando l’India e altri paesi in situazioni simili a distinguere tra le foreste native e artificiali.
Se questo non accadesse, confondere un albero con un altro potrebbe causare seri danni alla biodiversità del pianeta.