AMBIENTE – Finalmente una buona notizia. Se è ormai certo che i grandi stock di pesci commerciali sono oggi in declino e al limite della sussistenza, un recente articolo apparso su Nature qualche giorno fa afferma che non tutto è perduto. Secondo lo studio canadese, infatti, bloccare la pesca massiva può ancora permettere un recupero di ecosistemi sovrasfruttati, anche se non è ancora chiaro se si possa tornare all’ecosistema originario.
Si tratta di una novità nel campo della conservazione poiché ad oggi ben poco si sapeva sulla possibilità di ripristino di ambienti compromessi e ciò creava ampi dibattiti e dubbi sulla validità di misure di mitigazione come la chiusura alla pesca di aree già compromesse o la reintroduzione di specie in aree che ne sono ormai prive.
Vediamo come ciò sia possibile.
Tipicamente, gli ecosistemi marini, privi dei predatori all’apice della catena alimentare ‘razziati’ dalla pesca, presentano una rete trofica completamente ristrutturata e dominata da specie erbivore e planctivore, che, cioè, si cibano di plancton e non di pesci di minori dimensioni. Ne è un esempio l’area della Nuova Scozia (Canada).
Se a metà del ventesimo secolo questo tratto di mare atlantico era considerato tra i più produttivi al mondo per la pesca di merluzzi (ne venivano pescate circa 100 tonnellate l’anno), daglia anni Settanta in poi ha vissuto il più documentato collasso dell’ecosistema marino, tanto da far sparire i grossi predatori ittici dall’area. Il loro posto è invece occupato, ecologicamente parlando, da pesci di piccola taglia, come le aringhe, le cui popolazioni sono letteralmente ‘esplose’ nel giro di un decennio.
Nel 1993, a “buoi scappati dalla stalla”, il governo canadese ha imposto un fermo di pesca di merluzzi e affini, senza però registrare un recupero delle popolazioni quasi comparse. Tra gli altri motivi, ciò dipendeva dal fatto che i nuovi padroni dell’ecosistema, cioè aringhe e specie simili, erano così ghiotti delle uova di merluzzi, da impedire il recupero immediato degli stock di pesce, nonostante il divieto di pesca.
A decenni di distanza, sembra che la storia possa avere un ‘lieto fine’: secondo lo studio su Nature la perturbazione all’ecosistema della Nuova Scozia avrebbe natura transitoria e l’ecosistema originale potrebbe riprendersi. Ciò dipende dal fatto che le aringhe e gli altri piccoli pesci sono diventatei talmente abbondanti da non aver più risorse alimentari. come un gioco d’altalena, il loro declino lasciarebbe oggi nuovamente spazio ai grossi predatori, anche se attualmente le popolazioni di merluzzi sono ancora due volte inferiori a quelle di una volta.
Lo studio sembra confermare cohe la natura è in grado di ‘riprendersi’ qualora venga rimossa la pressione operata su di essa. Ciè conferma quindi la validità di un’azione di contenimento della pesca commerciale per far in modo che il mare torni ‘in salute’. Una notizia non da poco per le generazioni attuali e future.