CRONACA – Si erano da poco estinti i dinosauri, quando le leguminose e i batteri azotofissatori cominciarono una relazione che li lega ancora oggi. A far luce sull’evento contribuisce uno studio pubblicato su Nature che annuncia il sequenziamento del genoma di un parente stretto dell’erba medica (Medicago truncatula), un modello di lunga data per lo studio della biologia dei legumi. Un team internazionale di ricercatori del John Innes Centre, presso il Norwich Research Park, ha mappato circa il 94 per cento dei suoi geni, svelando che la simbiosi mutualistica con i batteri azotofissatori risale a 58 milioni di anni fa. Grazie a essa, leguminose come l’erba medica, la soia, i piselli e le arachidi riescono a rifornirsi di ammoniaca, indispensabile per la propria crescita. Durante il processo di azotofissazione, i batteri simbionti – per lo più appartenenti ai generi Rhizobium e Bradyrhizobium – sintetizzano azoto ammonico a partire da quello atmosferico, che viene così trasformato in una forma utilizzabile dalle piante. In cambio, queste ultime offrono protezione ai batteri all’interno di noduli radicali, e li riforniscono di zuccheri e proteine.
I noduli radicali permettono alle leguminose e ad altre piante pioniere come gli ontani di colonizzare suoli poveri di nutrienti. In seguito all’infezione batterica, le cellule della radice cominciano a dividersi e danno origine a un nodulo di forma sferica o cilindrica. Nella sua parte periferica si localizzano i fasci vascolari che trasportano la linfa, collegati con quelli della radice, mentre all’interno si trova la cosiddetta zona a batteroidi, formata da grosse cellule parenchimatiche piene di batteri modificati in seguito alla simbiosi. I batteroidi sono in grado di fissare l’azoto atmosferico ma sono incapaci di moltiplicarsi per divisione cellulare. Anche gli agricoltori hanno imparato a sfruttare questa relazione di successo, per esempio coltivando a rotazione l’erba medica, che arricchisce di azoto il terreno, rendendolo naturalmente più fertile. Quando le condizioni sono favorevoli, infatti, i batteri dei noduli radicali fissano così tanto azoto da rilasciare quello in eccesso nel terreno circostante. A volte, poi, le stesse piante vengono interrate con l’aratura. La simbiosi tra le leguminose e i batteri azotofissatori rappresenta la più importante fonte naturale di composti azotati per l’agricoltura. Tra l’altro, essa limita il ricorso ai fertilizzanti sintetici, che comportano notevoli costi e rischi ambientali, come l’eutrofizzazione. Circa 58 milioni di anni fa, una mutazione cromosomica in un antenato di Medicago portò alla duplicazione del suo intero genoma, favorendo la comparsa di mutazioni vantaggiose e introducendo nuove funzioni, senza perdere quelle dei geni originari.
La formazione di un corredo cromosomico soprannumerario, nota come poliploidia, ha giocato un ruolo determinante nella rapida evoluzione di moltissime altre piante, tra cui specie di enorme importanza agricola come il grano. La principale novità evolutiva in Medicago fu proprio la comparsa di geni specializzati per l’interazione con i batteri azotofissatori, legati alla formazione dei noduli radicali. Le leguminose del genere Medicago sono diffuse principalmente nel bacino del Mediterraneo, e sembrano aver beneficiato della duplicazione del genoma, a giudicare anche dalla loro spettacolare radiazione adattativa successiva all’“incidente” genetico. Solo in Italia, il genere annovera una quarantina di specie. Il loro successo evolutivo è strettamente legato alla loro importanza economica per gli umani. Basti pensare che Medicago sativa, coltivata da noi principalmente in Pianura Padana, è diventata la pianta foraggera per eccellenza.
Oltre a far luce sull’evoluzione di queste piante, il sequenziamento del genoma di Medicago ha rivelato un numero di geni NBS-LRR, che conferiscono resistenza ai microrganismi patogeni, superiore a quello di qualsiasi altro genoma vegetale esaminato finora. Un’altra caratteristica che potrebbe rivelarsi molto utile per future applicazioni in campo agricolo.