CRONACA

Ridotte a zombie

CRONACA – Dopo che nel 2006-2007 gli alveari americani sono stati dimezzati dalla sindrome da spopolamento delle colonie, dalle cause ancora da chiarire, le api faticano a riprendersi. Ci mancava solo l’Apocephalus borealis.

Per un libro sulla sindrome, ero stata dagli “apicoltori urbani” di San Francisco. Da marzo a novembre, portano le arnie nella parte incolta del Presidio, un grande parco sopra la città con laghi e colline dalle quali si vede la Baia. Le api di San Francisco stavano benissimo.

Benissimo, oddio… erano anch’esse afflitte da Varroa destructor, un acaro micidiale, a primavera soffrivano di diarrea per via di una muffa, la Nosema apis, ma in confronto a quelle sfruttate per l’agricoltura e sballottate sui Tir da un capo all’altro del paese da febbraio a novembre, quelle urbane scoppiavano di salute.

Su PLoS One però, Andrew Core della S.F. State University e altri ricercatori sotto la guida di John Hafernik raccontano di aver scoperto nel 2008 alcune api dell’università attaccate dall’Apocephalus borealis, una moscerina dura come un pidocchio che nel Nord America normalmente parassita solo vespe e bombi. Depone le uova nel loro addome, le larve s’infilano tra il torace e la testa dell’ospite che, letteralmente, la perde. Dal 2008 la situazione è peggiorata:

Abbiamo trovato un parassitismo diffuso da A. borealis in 7.417 Apis mellifera, 177 Bombus vosnesenskii e 18 B. melanopygus, reperiti in varie località della Bay Area di San Francisco. … In totale, un 77% delle arnie campionate era infetto.

Di solito le api non vanno in giro di notte. Invece

possiamo collegare per la prima volta l’attività notturna all’abbandono dell’alveare.  Prima abbiamo trovato api sotto e dentro le lampade del campus,  in svariate condizioni meteo, comprese fredde notti di pioggia quando non si vedeva un altro insetto attorno alle luci.

Le api “arenate” evidenziavano sintomi quali disorientamento (camminavano in cerchio) e perdita di equilibrio (non si reggevano sulle zampe).

Sembravano degli zombie, dice John Hafernik.

Diversamente dalla maggior parte degli insetti attratti dalla luce, le api arenate restavano inattive il giorno dopo fino alla morte. Quelle che lasciavano l’alveare di notte erano molto più infette da A. borealis di quelle che uscivano a bottinare di giorno.

Era alto anche il loro tasso di infezione con il virus da ali deformi, spesso trasmesso dalla Varroa destructor, e con la Nosema ceranae, la muffa simile a quella precedente ma arrivata dalla Cina di recente e contro la quale hanno poche difese. L’A. borealis per ora sembra presente solo nella Baia di San Francisco e in colonie da noleggio nel Sud Dakota.

All’università, la colonia appositamente infetta per studiarla è riuscita comunque a superare l’inverno e a riprendersi. Non mi sembra che l’A. borealis possa essere la causa della grande moria del 2006-2007, anche se gli autori continuano a fare il collegamento. Infatti sospettano la moscaccia di essere giunta da poco dal Sudamerica dove parassita le api da decenni.

Hanno controllato il Dna dei parassiti, come era cambiata l’espressione di geni nelle ospiti, registrato la periodicità delle infezioni. Resta da trovare un rimedio, e da capire se

l’A. borealis manipola il comportamento delle api cambiandone il ritmo circadiano, la sensibilità alla luce o altri aspetti della fisiologia. … In alternativa l’infezione potrebbe essere uno degli stress che risultano in attività notturna aberrante. Se fosse così, le api malate abbandonerebbero altruisticamente l’alveare per ridurre i rischi per le compagne.

Sull’altruismo delle api non ci sono dubbi: una specie che sciama lasciando la casa piena di cibo alle giovani generazioni è un esempio per tutte. Ma quando un’ape è malate e ha un “odore” diverso, le compagne se n’accorgono e la buttano fuori. Il bene della comunità prima di tutto.

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Foto di John Hafernik: larva di A. borealis che esce dal collo di un’ape.

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