ECONOMIA. Torniamo sul racket in open access che pubblica roba scadente in cambio di 1.800 dollari in media. Recluta vittime soprattutto nel terzo mondo con la complicità di ricercatori del primo mondo che, per vanità, ingenuità o peggio, fanno da specchi per le allodole e/o foglie di fico.
Ci sono circa 10 milioni di ricercatori, molti dei quali devono pubblicare o perire, una scelta detta anche o la borsa o la carriera. I principali enti di finanziamento stanno adottando l’open access come regola, ormai i fondi assegnati per un progetto di ricerca comprendono spesso il costo della pubblicazione dei risultati. Due anni fa, le riviste in open access erano oltre 5.000 (su circa 80 mila), un quinto delle quali nei paesi del terzo mondo. Ne nascono di continuo, un boom demografico e un’occasione d’oro per truffe alla nigeriana e altre dall’apparenza meno rozza.
Jeffrey Beall spiega su Nature il modus operandi degli editori disonesti per sgretolare la credibilità dell’intera impresa scientifica. Mette il dito su una conseguenza imprevista dell’open access: la trasformazione degli autori in “clienti” cui vendere uno spazio su una testata dal prestigio altrettanto variabile dell’affidabilità della peer-review. Così è venuta meno una funzione importante dei bibliotecari. Prima, i clienti erano loro e badavano alla qualità delle riviste, dopo i referees, erano la seconda linea di difesa contro le bufale.
Da bibliotecario dell’Università del Colorado, Jeffrey Beall tiene aggiornato l’elenco dei disonesti e lo pubblica sul blog Scholarly Open Access. A noi giornalisti serve a capire come hanno fatto, per esempio, Alberto Carpinteri et al. a scovare una rivista che accettasse la loro versione surreale di quanto è successo a Gerusalemme il 3 aprile 33 d.C.
Un giro fra le riviste predone è deprimente, troppi baroni italiani contribuiscono a
danneggiare l’editoria scientifica e promuovere un comportamento immorale degli scienziati.
L’open access è un veicolo potente e veloce per far circolare nuove conoscenze, ci sembra il caso di difenderne l’integrità. I consigli di Beall sono questi:
Raccomando agli studiosi non aver alcun rapporto con questi editori, di non sottoporre articoli, servire come redattori o membri di comitati editoriali, di non essere fra i loro inserzionisti. Inoltre gli articoli pubblicati dalle loro riviste dovrebbero essere esaminati più a fondo durante il processo di valutazione per un’assunzione o una promozione.
Il nostro è di far circolare la sua lista.
Altre letture
I suggerimenti della Budapest Open Access Iniative (lanciata da George Soros), del 2000 ma sempre validi.
PeerJ, rivista open access per la ricerca biomedica, low-cost e in fase di collaudo.
La guida alle risorse open access della Galter Health Science Library dalla quale proviene il grafico in cima.