CRONACA – Al tempo Darwin non se ne era interessato, eppure lo studio sull’origine e le funzioni del sonno ha tenuto occupati negli ultimi decenni molti biologi evoluzionisti. Sebbene largamente diffuso nel regno animale, il sonno rimane un fenomeno poco compreso. Addirittura, secondo alcuni, un comportamento potenzialmente svantaggioso, che espone l’animale ai predatori e ruba del tempo prezioso che potrebbe essere dedicato a procacciarsi cibo e partner sessuali.
Quest’idea ha spinto molti ricercatori a individuare una qualche fondamentale funzione fisiologica del sonno che possa compensare gli svantaggi di questo comportamento. Le proposte non sono mancate: un meccanismo per consolidare le memorie, una funzione per regolare la temperatura corporea, un sistema per proteggere gli animali dai parassiti.
E se invece il sonno non fosse che il risultato di un bilancio tra necessità di essere attivi e risparmio energetico?
Per chi vive alle nostre latitudini la cosa può sembrare scontata: di notte, con il buio, per la maggior parte degli animali è più conveniente dormire. Ma la situazione potrebbe essere diversa nelle zone polari, dove in alcuni periodi la luce non viene mai a mancare.
Uno studio pubblicato su Science da un gruppo di ricerca tedesco ha osservato il comportamento di una specie di uccelli migratori (il piro-piro pettorale, o Calidris melanotos) che si riproducono nella tundra artica. I ricercatori hanno notato che nei maschi di questa specie la riduzione di sonno non sembra essere svantaggiosa, anzi: gli individui che dormono meno mostrano un maggiore successo riproduttivo, a scapito dei compagni che dedicano più tempo al sonno.
Il piro-piro pettorale è una specie poliginica, in cui gli esemplari maschili spendono gran parte del tempo nella difesa del territorio e nel corteggiamento delle femmine. Dopo l’accoppiamento, il maschio non è più coinvolto nelle cure della prole, e può quindi dedicarsi alla ricerca di una nuova compagna. Il successo riproduttivo dei maschi di piro-piro pettorale dipende quindi dal numero di accoppiamenti che riesce a ottenere nella stagione riproduttiva.
Secondo i dati raccolti, durante il periodo riproduttivo e nei giorni immediatamente successivi i maschi si sono dimostrati più attivi delle femmine, con intervalli di sonno significativamente più ridotti. Solo poche ore di sonno per un periodo di circa tre settimane, con alcuni individui che sono rimasti attivi per più dell’80% del tempo considerato. Non tutti i maschi però hanno dormito per la stessa durata di tempo: con un sistema per registrare l’attività del cervello e dei muscoli degli esemplari monitorati, i ricercatori hanno osservato una larga variabilità nel tempo dedicato al sonno.
Ma c’è qualche vantaggio nel limitare il sonno? Sembra proprio di sì.
I maschi di questa specie che hanno dormito meno hanno ottenuto un maggiore successo riproduttivo: si sono accoppiati di più e hanno avuto una prole più numerosa.
Forse i maschi più insonni, stremati dall’attività, risentono con il passare del tempo di questa temporanea vittoria sui rivali in amore?
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, per il momento la ricerca sembra smentire che il vantaggio sia compensato da costi a lungo termine del sonno perduto. Osservando gli animali negli anni successivi, i ricercatori hanno notato che i maschi meno dediti al sonno mostravano un tasso di sopravvivenza e riproduzione leggermente superiore rispetto agli altri esemplari.
“Comprendere il modo in cui il cervello regola il sonno nelle diverse specie in risposta alle necessità comportamentali e alle condizioni ambientali”, commenta su Science Jerome Siegel, professore di psichiatria alla University of California, “sarà un nuovo paradigma utile sia per la ricerca sul sonno che per la biologia evoluzionistica.”
Crediti immagine: Andreas Trepte (Wikipedia)