AMBIENTEECONOMIA

Climate Silence

AMBIENTE – “Credo di essermi perso la parte dove hanno discusso dello scioglimento dell’Artico” così l’ambientalista Bill McKibben ha commentato da twitter, con un certo sarcasmo, i discorsi elettorali di Obama e Romney, nei quali non si fa cenno ai cambiamenti climatici.

Nell’ultimo mese altri due gruppi di ambientalisti, Forecast the Facts e Friends of the Earth Action, attraverso il sito climatesilence.org, hanno criticato i due pretendenti alla Casa Bianca accusandoli di non porre alcuna attenzione all’emergenza climatica.

Secondo gli attivisti, se Mitt Romney, per appartenenza politica, è da sempre più vicino alle multinazionali del petrolio e distante dall’emergenza climatica, Obama, partito come il presidente della green economy, non fa certo di meglio.

Accuse pesanti che vengono documentate su climatesilence.org attraverso delle infografiche che mettono a confronto dichiarazioni e azioni intraprese sul climate change da parte dei due candidati, dal 2007 a oggi.

Il risultato appare alquanto sconfortante. Nel 2007, da neo presidente, Obama dichiara che la vera sfida per gli Stati Uniti sono i cambiamenti climatici ed è un impegno da assumere verso le future generazioni. Nello stesso anno Romney attacca Al Gore e il suo documentario Una scomoda verità. Nel 2008 Obama annucia la nascita di una nuova carbon-based economy, Romney dimostra una sensibile apertura al problema dei gas a effetto serra. Nel 2009 Obama richiede con fermezza di porre un limite alle emissioni inquinanti, di definire delle politiche per l’efficienza energetica e per i carburanti. Nasce la proposta del Cap and Trade, Romney è contrario. Nel 2010 Obama chiede investimenti per le energie rinnovabili, nello stesso anno annuncia nuove campagne di perforazione per la produzione di petrolio e gas. Romney mette in discussione le basi scientifiche dei cambiamenti climatici. Nel 2011 Obama chiede più investimenti a favore delle energie alternative per non essere più dipendenti dai combustibili fossili. Romeny dichiara che è importante ridurre i gas a effetto serra.

Siamo al 2012. A fine gennaio Obama accusa il congresso di non fare abbastanza per il problema del global warming. Pochi mesi dopo promuove la produzione di petrolio made in USA. Romney dichiara che i limiti all’inquinamento sono una guerra aperta al carbone. Il 6 settembre Obama dichiara che il climate change non è uno scherzo, poi il silenzio, nel primo dibattito del 3 ottobre non fa alcun riferimento ai cambiamenti climatici. Lo stesso giorno Romney parla delle falsità sulla green energy e promuove i combustibili fossili.

Il portavoce della Casa Bianca Clark Stevens ha risposto (pare attraverso una email ai promotori di climatesilence) che l’amministrazione Obama sta lavorando a una strategia per far fronte ai cambiamenti climatici e che le misure per limitare i gas ad effetto serra, in particolare quelli dovuti ai mezzi di trasporto, restano un obiettivo fondamentale per Obama.

Quel che è certo, è dopo cinque anni di promesse sulla green economy e meeting internazionali, sembrano pochi i risultati raggiunti. Gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno sentire e lo scorso mese la copertura di ghiaccio dell’Oceano Artico ha raggiunto il  minimo storico.

Lo scioglimento del ghiaccio artico sta accellerando e le conseguenze sono ormai conosciute: innalzamento dei mari, innondazioni, scomparsa di zone insulari, senza parlare della perdita di un’importante superficie naturale in grado di riflettere i raggi solari.

Inoltre, secondo le ricerche del Water and Environmental Research Center, University of Alaska Fairbanks, il permafrost artico si comporterebbe da serbatoio di metano e il suo scioglimento causerebbe il rilascio in atmosfera di CH4, uno dei gas a maggior effetto serra. Secondo la ricerca, anche se la concentrazione di metano cresce più lentamente rispetto a CO2, SF6 e N2O, resta comunque un fenomeno da monitorare per capire in che misura possa incidere sul global warming e quali possano essere le conseguenze a livello locale e nelle zone vicine, come ad esempio gli Stati Uniti.

Nel frattempo il luglio di quest’anno è stato il più caldo da 125 anni, facendo registrare le temperature record in 48 stati degli USA. Secondo il Northeast Fisheries Science Center, nella prima metà del 2012, la temperatura superficiale nel nordest dell’Oceano Atlantico è stata la più alta mai registrata dal 1854 a oggi.

Se i dati scientifici non sembrano allarmare più di tanto il mondo politico, un’attenzione diversa potrebbe essere rivolta alla quantificazione economica dei danni dovuti al climate change. Nel 2011, negli USA, i danni dovuti ad alluvioni, tornadi, uragani e altri eventi metereologici estremi, ammontano a 60 miliardi di dollari. A fine 2012 si raggiungerà la stessa cifra, se non di più. Strano ma vero, a dirlo è la stessa politica americana attraverso un report scritto dal Commitee on Natural resources assieme al Energy & Commerce commitee.

Forse, 60 miliardi di dollari sono ancora poca cosa per far tremare gli USA, dove, secondo i dati del SIPRI (Istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca sulla pace), solo nel 2009 sono stati spesi ben 661 miliardi di dollari per rafforzare l’esercito più potente del mondo.

Crediti immagine: climatesilence.org

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