ARTE, MUSICA E SPETTACOLI – In questo anno di celebrazioni per il centenario della nascita, abbiamo avute molte occasioni di riscoprire o conoscere la figura di Alan Turing, di familiarizzare con il genio che lo ha portato a innescare il “Big Bang dell’universo digitale”, come dice George Dyson, con le sue passioni – le fiabe, gli scacchi, la biologia, la corsa – con la sua drammatica vicenda umana. Ci sono stati programmi radio, conferenze, convegni, fumetti. E anche uno spettacolo teatrale, Turing. A staged case history, in scena fino a domenica al Piccolo Teatro Studio Expo di Milano, che per raccontare tutta questa complessità esistenziale, emotiva, scientifica, ha scelto una via particolare, tra il monologo e la performance digitale .
“Propongo di considerare la domanda: possono le macchine pensare?” Lo spettacolo comincia così, con Turing (lo interpreta in modo davvero efficace Alessandro Bruni Ocaňa) che pone una delle domande chiave della sua vita e del suo lavoro: la prima delle tante citazioni tratte da documenti originali del matematico. Più avanti nello spettacolo affermerà: “Alla fine del secolo l’uso delle parole e l’opinione generale saranno così cambiati che chiunque potrà parlare di macchine pensanti senza temere di essere contraddetto”. Perché la scelta di Maria Elisabetta Marelli, regista e ideatrice del progetto, è chiara: niente finzione narrativa, niente rappresentazione romanzata. La volontà (“l’esigenza”, dice lei) è rappresentare Turing attraverso quello che ci ha lasciato: le sue parole, dunque, o quelle di chi gli è stato intorno, ma anche e soprattutto la tecnologia informatica, di cui oggi disponiamo proprio grazie al suo lavoro.
È subito evidente che a calcare la scena non sono solo gli attori, ma anche le complesse postazioni informatiche di Agon dalle quali, in tempo reale, un buon gruppo di performer realizza elaborazioni visuali e sonore. Gli schermi posti di fronte al pubblico e il sofisticato impianto di diffusione sonora non sono trovata scenografica o esasperazione di effetti speciali, ma protagonisti, elementi “vivi” che permettono di materializzare luoghi e pensieri del matematico. Se da un lato, infatti, suoni e immagini aiutano a ricostruire gli ambiente e le atmosfere dell’esistenza di Turing (il viale alberato che percorre in bicicletta per raggiungere la scuola, il rombo dei bombardieri Lancaster), dall’altro rappresentano una traduzione diretta delle sue intuizioni e delle sue emozioni, ottenuta grazie a software sviluppati appositamente a partire dai suoi scritti. Nel caso dei suoni e delle musiche, per esempio, sono evidenti tre linee differenti di ispirazione: il lavoro dei compositori, i campionamenti di suoni originali o riprodotti dell’epoca e quelli creati al computer a partire dai dati e dalle formule di Turing stesso.
Non c’è trama, nello spettacolo, ma una serie di quadri distinti, incorniciati o attraversati da un Turing che corre e di cui sentiamo i battiti del cuore e i respiri affannati, che ricostruiscono e suggeriscono alcune tappe fondamentali della sua vita. L’arrivo alla scuola di Sherborne (dove gli insegnanti lo bollano come “insignificante e antisociale, destinato a essere un problema in qualunque scuola”), l’intuizione della macchina di Turing (“l’importanza di una macchina universale è lampante”), il lavoro a Bletchley Park per infrangere il codice tedesco Enigma con le macchine Bombe (e qui conosciamo anche il suo piglio deciso, dai toni della lettera che, insieme ad alcuni colleghi, scrive a Churchill per sollecitare l’invio di nuovo personale), le ricerche sulla digitalizzazione del suono della voce, sull’intelligenza artificale, sulla morfogenesi biologica.
E ancora, naturalmente, i tragici momenti della lotta (perduta) contro la Regina e contro la società (rappresentati con un’imponente e inquietante partita a scacchi digitale) e i devastanti effetti fisici e psicologici della terapia ormonale alla quale scelse di sottoporsi (in alternativa all’imprigionamento) come pena per la sua omosessualità. È un crescendo di emozioni, amplificate sullo schermo dall’agonia parallela di un avatar che subisce le stesse trasformarzioni indotte dalla terapia.
Che dire di tutto ciò, di questo complesso organismo sonoro e visivo in cui lo spettatore si trova immerso? Forse il rischio è che molti passaggi, molte connessioni, molti significati sfuggano a chi già non conosce qualcosa della vita e delle intuizioni geniali di Turing, ma è certo che questa performance digitale immersiva dà l’impressione – fortissima e un po’ destabilizzante – di entrare nella testa del matematico. Di eccitarci con lui al pensiero di una macchina intelligente, di emozionarci estatici di fronte alle prospettive di un mondo digitale, di meravigliarci di fronte alla suggestione ipnotica delle immagini che riproducono i fenomeni di morfogenesi biologica. E di soffrire impotenti di fronte all’ingiustizia della sua condanna, alla distruzione rapida, orrenda e senza ritorno di una mente e di un corpo vivi, vivaci, brillanti.
Immagini di Diego Ronzio