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Pulitzer no-profit. Intervista a Giancarlo Basso

InSapphoWeTrust su FlickrJEKYLL – Le dimensioni non sono importanti. Se è vero che in molti campi un’affermazione del genere risulterebbe tanto trita da perdere mordente, e forse anche credibilità, quando si parla di giornalismo può avere senso abusarne ancora un po’. A offrirne l’occasione sono i Pulitzer assegnati lo scorso 15 aprile dalla Columbia University di New York.

Il prestigioso riconoscimento è stato conferito, per la categoria “National Reporting”, a tre giornalisti di InsideClimate News, sito d’informazione su energia, clima e ambiente. Elizabeth McGowan, Lisa Song e David Hasemyer sono stati premiati per un’inchiesta su una grave fuoriuscita di petrolio verificatasi nel 2010 nel fiume Kalamazoo (Michigan).

“È forse la più piccola compagnia d’informazione ad aver vinto un Pulitzer”, sottolinea il New York Times. La redazione è composta da sole sette persone a tempo pieno, che vivono in posti disparati dell’emisfero occidentale, da Tel Aviv a San Diego, senza una sede fisica in cui riunirsi. Basti pensare che i tre vincitori, per festeggiare, hanno dovuto stappare tre bottiglie di spumante in teleconferenza.

InsideClimate News è un’organizzazione no-profit, che si basa quasi interamente su finanziamenti da parte di fondazioni filantropiche che hanno a cuore i problemi ambientali, come Rockefeller Brothers Fund e Marisla Foundation, le prime a credere nel progetto. Un piccolo contributo poi possono darlo anche i lettori con le loro donazioni. L’intero budget annuale è di 550mila dollari, l’80% dei quali vengono impiegati per pagare lo staff e il restante 20% per coprire le spese.

Eppure una realtà così piccola è stata capace di battere oltre 50 concorrenti e due finalisti del calibro del Boston Globe e del Washington Post, che messi insieme, ci ricorda Forbes, contano circa 900 giornalisti. Come si spiega un successo del genere? La risposta è nella capacità di ritagliarsi una nicchia ecologica nell’ecosistema dell’informazione. InsideClimate News ci è riuscita in virtù della sua specializzazione sui temi ambientali, in una congiuntura storica in cui i grandi organi di stampa non sono più attrezzati, al loro interno, a coprire argomenti specifici così in dettaglio.

A gennaio di quest’anno, per esempio, il New York Times ha deciso di smantellare la sua redazione ambientale. Un trend del genere apre la strada a collaborazioni tra colossi editoriali generalisti e piccoli media specializzati: i primi possono trovare più conveniente ripubblicare, a pagamento, articoli già pubblicati dai secondi, piuttosto che produrli di proprio pugno. InsideClimate News ha già stipulato una serie di partnership con altri giornali e agenzie, come il Guardian, Bloomberg, Associated Press.

Inoltre, se i grandi restringono la loro offerta, i piccoli vedono aumentare il proprio “potere contrattuale” nei confronti delle fondazioni che li finanziano, e che hanno a cuore la produzione di notizie di prima mano su determinati argomenti. Notizie che altrimenti sarebbero a rischio di estinzione, come dimostra l’inchiesta che è valsa il premio Pulitzer 2013, e che è sfociata nella pubblicazione di un ebook intitolato The Dilbit Disaster: Inside The Biggest Oil Spill You’ve Never Heard Of.

Nel luglio 2010, a causa del guasto di una tubatura, oltre 3 milioni di litri di petrolio si riversarono nel fiume Kalamazoo, nello stato del Michigan. Nonostante fosse la più grave fuoriuscita nella storia degli Stati Uniti, l’evento fu in parte oscurato dal disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, verificatosi pochi giorni prima nel Golfo del Messico. A partire da quell’incidente, Elizabeth McGowan, Lisa Song e David Hasemyer avviarono un’inchiesta di sette mesi sui difetti di regolamentazione del sistema americano di tubature, concentrandosi sui rischi rappresentati  da un tipo di petrolio particolarmente corrosivo: il bitume diluito (da cui la parola “dilbit”).

Alla luce di quanto accaduto, la decisione d’investire così tante risorse su questo fronte si è rivelata una scommessa vinta. E questo premio vuole forse rappresentare anche un incoraggiamento per realtà simili a intraprendere altre scommesse analoghe, portando avanti questo modello di giornalismo. David Sassoon, fondatore ed editore di InsideClimate News, pare esserne consapevole quando dichiara: “Questo è  uno spartiacque per la nostra organizzazione no-profit, è una bella giornata per il giornalismo ambientale ed è un segnale di speranza per il futuro della nostra professione”.

In anni recenti non sono mancati riconoscimenti analoghi per altri media no-profit basati solo sul web. Basti pensare a ProPublica, sito dedicato al giornalismo di inchiesta, vincitore nel 2010 per la categoria “Investigative Journalism” e nel 2011 per quella “National Reporting”.

Non resta che chiedersi se questo modello di giornalismo è esportabile anche nel nostro paese. Per approfondire l’argomento, abbiamo deciso di parlarne con Giancarlo Basso, redattore di Pubblico Bene. Si tratta, come recita il sito, di un “progetto sperimentale di giornalismo d’inchiesta finanziato dai lettori e basato sulla partecipazione di lettori e giornalisti”. Come funziona? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui.

Crediti per la foto di apertura: InSapphoWeTrust/Flickr

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