CRONACA

Anche il cervello vede la luce

3346906435_25b7de7962_oCRONACA – Che studiare o lavorare in un ambiente ben illuminato o comunque sotto la luce di una lampada sia meglio e renda più efficienti è cosa risaputa, ma grazie a un nuovo studio pubblicato sulla rivista Journal of Cognitive Neuroscience adesso è possibile affermarlo con qualche sicurezza in più, anche dal punto di vista scientifico.

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Montreal, della Harvard Medical School, del Brigham and Women’s Hospital di Boston e dell’Università di Liege ha scoperto come la luce sia in grado di regolare numerose funzioni di tipo non-visuale: circadiane (ovvero che riguardano la nostra percezione dell’alternarsi del giorno e della notte), neuroendocrine e comportamentali. In poche parole la presenza di luce è in grado di aumentare i livelli di attenzione e prontezza durante un task e quindi di aumentare l’attività cognitiva, indipendentemente dalla vista.

Lo studio è stato condotto su tre pazienti completamente ciechi ai quali è stato chiesto di compiere alcuni esercizi. Studi precedenti avevano suggerito come uno specifico fotorecettore collegato a delle cellule gangliari della retina intrinsecamente fotorecettive (ipRGCs) per segnalare la presenza di luce anche quando le altre cellule della retina predisposte all’elaborazione delle immagini non fossero state in grado di individuarla. Partendo da questa ipotesi i ricercatori hanno inizialmente chiesto di individuare quando una luce blu era accesa o spenta; tutti e tre i partecipanti hanno mostrato di avere una consapevolezza della presenza di luce o meno molto precisa, nonostante la cecità totale dalla quale sono affetti. E’ quindi stato confermata l’ipotesi che il cervello sia in grado di percepire la luce anche in una situazione di cecità completa, quando sicuramente le cellule usualmente adibite a tale compito non sono funzionanti.

Il passo successivo dello studio è stato cercare di capire come la luce influisca sulle capacità cognitive del paziente. Lo studio ha mostrato come, durante un task di tipo auditivo (ai pazienti venivano fatti ascoltare dei suoni ed era monitorata la loro capacità di individuarli) la presenza di una luce per un intervallo di due secondi sia in grado di modificare l’attività cerebrale del paziente, controllata in questo caso attraverso un ECG. Ma come viene modificata l’attività del cervello grazie alla luce? Attraverso l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI) i ricercatori hanno mostrato come meno di un minuto di luce blu possa azionare l’ingaggio supplementare di alcune regioni della zona prefrontale e talamica del cervello legate per l’appunto alla prontezza e alla regolazione della cognizione ma anche attivare aree fondamentali del cosiddetto default network. Si tratta di un’insieme di aree del nostro cervello solitamente attive quando questo si trova in “stand by” ovvero quando ad esempio stiamo dormendo o facendo attività passive; secondo i ricercatori queste aree sarebbero anche in grado di monitorare l’ambiente esterno e, ad esempio, rilevare la presenza di luce.

Secondo questa nuova ricerca quindi il fotorecettore legato alle cellule gangliari ipRGCs potrebbe essere in grado di influire rapidamente nell’organizzazione dell’attività cerebrale e influire positivamente sull’esecuzione di task cognitivi,  permettendo al cervello di vedere la luce anche quando gli occhi non ne sono in grado.

Crediti immagine: Chuck Coker, Flickr

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Chiara Forin
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