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Cosmesi: etichette ingannevoli, tensioattivi, un po’ di biologico e di fai-da-te

La comunicazione al consumatore è un elemento fondamentale quando si parla di cosmesi. Ecco come orientarsi tra le diciture in etichetta

8033115093_18d2b1ab53_bSPECIALE GENNAIO – Continuano gli approfondimenti sui prodotti cosmetici e da bagno: questa volta non parliamo solamente di sostanze più o meno nocive ma anche della comunicazione al consumatore. Spesso infatti, sull’onda del vivere ‘biologico’, si tende ad acquistare prodotti che vengono presentati come ‘più naturali’ senza in realtà capire come e se effettivamente lo siano. Le stesse aziende che li vendono si approfittano non poco dell’aumentata sensibilità dei consumatori a questo riguardo, investendo sempre di più in direzione ecosostenibile, soprattutto in termini di marketing. Abbiamo parlato di questo (e non solo) con Elio Mignini, direttore generale della Società italiana di Chimica e Scienze Cosmetologiche (SICC). 

Perché sottolineare sulle etichette l’assenza di determinate sostanze, se non sono nocive? 

Le diciture sulle etichette, come ‘senza parabeni’ o ‘senza tensioattivi’ sono un avviso per il pubblico, in modo che se un compratore è sensibile alla sostanza in questione (in senso allergico) sappia di poter utilizzare il prodotto. Il nome INCI che compare sull’etichetta è stato introdotto dalla commissione europea proprio a questo scopo. Ovviamente è difficile capire, a partire dal nome INCI, se si è allergici a una determinata sostanza: bisogna passare per la consulenza di un dermatologo. Questo tipo di diciture, dunque, ha accezione positiva in quanto tutela il consumatore; per fare un esempio negativo, invece, possiamo parlare di ‘nichel free’. Intanto è impossibile che un prodotto sia del tutto esente da nichel, perché è presente anche nell’acqua quindi anche in minima traccia ci sarà sempre. In più è vietato dalla legge, quindi inserire questa dicitura in etichetta ha più che altro lo scopo di screditare altri prodotti che non la presentano, ma non ha senso perché è la legge stessa a proibirne l’uso. Un nuovo regolamento cosmetico ha proibito la presenza in etichetta di queste avvertenze, che sottolineano l’assenza di sostanze già vietate per legge.

Sottolineare l’assenza di una sostanza, tuttavia, viene interpretato dal consumatore come un fattore positivo a prescindere.

Il messaggio sbagliato che passa è un effetto del marketing dei prodotti, c’è chi ci gioca molto sopra perché ci sono sempre più persone sensibili al riguardo, e non intendo in termini di cute, ma di opinione pubblica. Leggendo ‘senza parabeni’ e via dicendo sulle etichette, i consumatori sono motivati all’acquisto. Per fare un altro esempio, in fondo alle etichette dei profumi viene da qualche anno sottolineata l’assenza di allergeni. Si tratta di un obbligo di legge relativamente recente con lo scopo di avvisare il consumatore, anche se si tratta di sostanze che sono tutte di derivazione naturale. Nel caso io utilizzi olio di bergamotto, d’arancio o di limone in un profumo, questi saranno il 50% del profumo. La dicitura serve dunque ad allertare in caso di allergia e sensibilità del consumatore.

Ci sono ‘scappatoie’ alle normative che regolano le sostanze da menzionare in etichetta?

Sì, e la troppa enfasi nel riportare la presenza o l’assenza di una sostanza è spesso una mera conseguenza di tecniche di marketing. Anche la dicitura ‘non contiene profumo’ non è così lineare: alcuni profumi sono pericolosi, altri no e sono ammessi dalla Commissione europea. Un esempio possono essere gli oli essenziali naturali: sono profumi, conferiscono profumazione al prodotto e vengono inseriti solamente a quello scopo, ma non vengono considerati ‘composizione profumata’. Perciò un produttore può giocare su questo equivoco, e dire che non usa profumi ma oli essenziali naturali: ma sempre di profumo si tratta.

La dicitura ‘senza tensioattivi’ è comunque generica. Quando sono nocivi?

I tensioattivi rappresentano una categoria di sostanze piuttosto vasta e alcuni sono naturali, come la lecitina di soia o quelli ricavati dalle uova. Servono a tenere insieme fasi che altrimenti sarebbero del tutto immiscibili, come l’acqua e l’olio per fare un esempio. Se li uniamo non restano insieme, ma se aggiungiamo un tensioattivo e misceliamo rimangono in emulsione. I tensioattivi possono essere più o meno aggressivi, il sodium lauryl sulfate ad esempio è molto schiumogeno e viene utilizzato in piccole quantità proprio per fare schiuma e per un effetto detergente spinto, ma le percentuali devono rimanere basse perché ha anche effetto disidratante sulla cute. Anche in questo caso, come in molti altri, ci limitiamo comunque a caratteristiche negative come irritazioni e possibile allergenicità per le pelli più sensibili. Ma spingersi a dichiarare che queste sostanze (tutte approvate e regolate dalla Commissione europea) sono cancerogene, è falso. Salvo ovviamente siano state contaminate da altri inquinanti esterni. E per quanto riguarda il cloruro di sodio, anch’esso sotto accusa, si tratta di sale come quello che utilizziamo in cucina: con tutti i fattori positivi e negativi del caso, non si può certo parlare di tossicità.

Come vengono sostituiti i tensioattivi, nei prodotti che vantano la loro assenza in etichetta e sarebbero ‘più naturali’?

Spesso vengono sostituiti con altri tensioattivi ma di origine naturale, come appunto la lecitina di soia. Questi hanno funzione detergente molto più blanda, non puliscono molto. In qualche caso addirittura, anche se secondo gli esperti SICC non si tratta di una pratica corretta, vengono sostituiti da oli minerali. Nel latte detergente senza risciacquo, ad esempio, la funzione detergente che asporta il grasso o il make-up dalla cute viene svolta da oli minerali derivati dal petrolio, con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso. La dicitura in etichetta per sottolineare l’assenza di queste sostanze è ingannevole, perché ne vengono usate altre sempre con funzione solvente o detergente. Un tensioattivo è costituito da una parte lipofila che assorbe i grassi e da una idrofila compatibile con l’acqua. Sono poco presenti in natura, e proprio per questo sono stati sintetizzati per esempio nel sodium lauryl sulfate, in cui il lauryl è la parte lipofila che può essere sostituita con acidi grassi di derivazione vegetale, come olio di cocco e di palma (che vengono comunque trasformati in tensioattivi chimicamente). Tutta la chimica dei tensioattivi si è comunque molto evoluta in una direzione più ‘naturale’ negli ultimi anni.

Cosmetici fatti in casa: il fai-da-te in quest’ambito è una buona idea per chi comunque non si fidasse delle sostanze contenute nei prodotti in commercio?

Il fai-da-te va bene se fatto con ottima conoscenza di ciò che si usa, e di chi lo fornisce. Schede tecniche, caratteristiche chimiche, stabilità nel tempo delle sostanze, tutto deve essere sotto controllo. Partire da oli vegetali biologici come quello di riso o di mandorle, non trattati con antiparassitari o fitofarmaci (quindi senza residui) va benissimo. L’olio di mandorle dolci in particolare, tuttavia, è facilmente deperibile e si ossida in breve tempo. L’ossidazione degli oli vegetali porta alla formazione di perossidi pericolossissimi che danno origine ai radicali liberi, che sono cancerogeni. Anche per quanto riguarda le vitamine, che compaiono in molti video di cosmesi fai-da-te, bisogna stare molto attenti. Le quantità inserite spesso sono tali da risultare pericolose, in quanto un sovra-dosaggio può causare gravi problemi. Inoltre lasciano adito a molti dubbi, perché nei filmati ne vengono aggiunte così tante che, se fossero pure, verrebbero a costare un capitale.

E che dire dei prodotti cosmetici ‘bio’ che ormai si trovano anche al supermercato?

Molti prodotti mandano un messaggio fuorviante in questo modo, perché danno l’idea di essere efficaci sulla pelle, del tutto innocui e al contempo molto migliori di quelli non ‘bio’. Si tratta in verità di un’informazione quasi mistificatrice, perché se negli alimenti parlare di biologico è davvero possibile, nella cosmesi parte della formula chimica non può assolutamente essere biologica. Anche solo per l’acqua che viene utilizzata, che è di produzione industriale. Il tutto si basa su una sorta di compromesso, perché il consumatore tende a pensare che se un prodotto viene dichiarato biologico allora lo sarà in ogni sua parte e componente al 100%, mentre si tratta sempre di una percentuale molto minore. Nel disciplinare di uno dei maggiori enti certificatori italiani, ad esempio, possiamo leggere che per definire un prodotto cosmetico biologico ‘sul totale degli ingredienti nel prodotto finito esiste un limite minimo di ingredienti biologici fissato al 10%’.  Siamo molto lontani dal 100%: un prodotto cosmetico perfettamente funzionale, innocuo e al contempo del tutto biologico ancora non esiste in vendita.

Crediti immagine: Phalin Ooi, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".