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Spazio alle bici: sostenere una mobilità alternativa

800px-Left_side_of_Flying_PigeonSPECIALE FEBBRAIO – Da quando negli anni ’20 del secolo scorso il traffico automobilistico ha iniziato a diventare consistente le strade delle città sono profondamente cambiate: con l’intento di farle diventare più sicure per loro i pedoni sono stati rimossi dalle strade, confinati in marciapiedi e vie pedonali. L’obiettivo principale invece, come sottolinea Peter Norton nel suo libro Fighting traffic, era in realtà permettere alle automobili di viaggiare più veloci e senza troppi problemi. 
Negli ultimi anni in molte città ci sono state numerose iniziative per “espropriare” le auto dalla strada, o quantomeno per scoraggiarne l’uso massiccio. Alcuni esempi? La città per eccellenza della bicicletta, Amsterdam, ha all’incirca cinquecento chilometri di piste ciclabili e più della metà dei suoi cittadini le utilizza.
 Un rapido confronto con la situazione italiana: secondo l’Osservatorio di Mobilità sostenibile in Italia e l’ISTAT (rapporto sulla mobilità urbana del 2013) nel nostro paese la situazione non è altrettanto favorevole a chi decide di lasciare a casa l’auto; l’indice di mortalità è ancora alto e pari a 0,86 ciclisti per incidente (ogni 100 incidenti avvenuti che hanno coinvolto biciclette). Tuttavia la densità di piste ciclabili cittadine è aumentata rispetto allo scorso rapporto ISTAT di circa il 6%, con alcune città come Modena che hanno raggiunto i quasi 12 km di piste ogni diecimila abitanti e altre come Roma che non raggiungono nemmeno il chilometro.

Ancora niente rispetto ai progetti dei nostri vicini europei: a Copenhagen lo scorso anno sono state realizzate delle vere e proprie autostrade per i ciclisti. Come le autostrade che tutti conosciamo queste speciali piste ciclabili sono meno tortuose come percorsi per permettere ai ciclisti di raggiungere la propria destinazione nel minor tempo possibile, sono mantenute in ordine e pulite dalla neve in inverno e i semafori sono stati coordinati per permettere a chi mantiene circa una velocità di venti chilometri orari di avere quasi sempre verde. Favorire l’utilizzo della bicicletta non è però solo un modo per diminuire l’inquinamento atmosferico e il traffico in quanto fa bene alla salute di chi pedala come anche alle casse dello Stato: la Danimarca ha infatti stimato un risparmio annuo per il sistema sanitario di circa 40 milioni di euro, che andranno utilizzati per mantenere e costruire nuove strade ciclabili e pedonali.

L’impatto economico che deriva dai benefici sulla salute legatti al muoversi in bicicletta o a piedi è stato riconosciuto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’OMS ha sviluppato uno strumento online per aiutare i Paesi membri a valutare il risparmio, in termini monetari, legato alla promozione di una mobilità alternativa a quella su quattro ruote; questo strumento, denominato HEAT (Health Economic Assessment Tool), è già stato sfruttato da alcuni Stati, Italia compresa. Per la città di Modena, che rientra fra i Comuni più “bike-friendly”, HEAT è stato utilizzato per stimare i benefici che si potrebbero ottenere con la costruzione di vie ciclabili che colleghino il centro con gli ospedali e le sedi universitarie principali, con un risparmio annuo di circa quattrocentomila euro (su una media di dieci anni).

Certo queste iniziative sono interessanti e lodevoli, ma come fare con tutte le automobili che circolano per le strade dove non ci sono piste ciclabili? E sugli attraversamenti pedonali, nelle rotonde? 
Una risposta l’ha trovata Hans Monderman, di professione ingegnere del traffico. Morto di cancro nel 2009, Moderman è stato un innovatore del concetto di controllo del traffico cittadino, portando avanti un’idea di spazio comune a bici, pedoni e auto quasi completamente autogestito: segnali stradali, dossi, rallentatori, semafori, limiti di velocità spesso non sono solo inutili ma anche pericolosi. Alla base di questa provocatoria idea c’è la convinzione che quando le istituzioni si prendono troppa responsabilità del comportamento dei propri cittadini, i cittadini non si preoccupano più di pensare prima di agire. 
Questa piccola rivoluzione del traffico è stata realizzata per prima nella cittadina di Drachten in Olanda nel 2001; Moderman infatti mise alla prova le proprie teorie togliendo dalla rotonda al centro del paese tutti i segnali stradali non obbligatori per legge, aggiungendo muretti, fontane, un pavimento stradale fatto di mattoni e non di asfalto, alberi e fiori e nient’altro. Un anno dopo questa installazione non solo il traffico era decisamente meno congestionato, ma gli incidenti stessi erano diminuiti della metà. 
Un esperimento simile, che conferma come la teoria di Monderman sia valida non solo in piccoli paesi di provincia, è stato portato avanti indipendentemente nel centro di Londra nella trafficata Kensington High Street. E i risultati sono stati immediati: rendere gli incroci e le strade meno anonime e più a misura di piccolo paese che tutti conosciamo potrebbe essere un modo efficace, meno costoso e di sicuro esteticamente migliore per attraversare la strada anche ad occhi chiusi come raccontano che abbia fatto anche Hans Moderman nella propria Drachten per testare il suo metodo.

Crediti immagine: Peking, People’s Republic, Wikimedia Commons

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Chiara Forin
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