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Imballaggi: cartone ondulato è meglio

800px-BoroughMarketTomatoesAMBIENTE – L’espressione “water footprint”, impronta idrica, è diventata negli ultimi anni uno dei cavalli di battaglia di associazioni ambientaliste: pensare all’impatto ambientale delle attività umane in termini di quanta acqua viene impiegata all’interno delle filiere produttive. Si parla spesso in questo senso di vegetarianismo come forma di protesta verso il consumo di acqua usata per alimentare gli animali negli allevamenti, ma c’è chi in Italia si pone la stessa domanda non già sul contenuto alimentare, bensì sul contenitore.

Il consorzio Bestack, un ente no profit promosso all’interno di GIFCO (associazione di categoria dei produttori di imballaggi in cartone ondulato), negli ultimi anni ha infatti finanziato la ricerca in collaborazione con il Politecnico di Milano e con l’Università di Bologna per contribuire a ridurre l’impatto ambientale e per migliorare le condizioni igienico sanitarie dei prodotti alimentari ed in particolare ortofrutticoli.

L’analisi si è concentrata sulle diverse tipologie di imballaggio presenti sul mercato e sulle loro modalità di impiego, analizzando gli specifici flussi logistici per valutare i rischi di contaminazione e l’impatto ambientale dei vari tipi di imballaggi. In particolare è emerso che le cassette in cartone ondulato con certificazione Bestack hanno i risultati migliori sia in termini di impatto ambientale, che di igiene.
“Il primo aspetto che ci interessa ribadire – precisa Claudio Dall’Agata, Managing Director presso il Consorzio Bestack – è che gli studi riguardano l’utilizzo delle diverse tipologie di materiale di imballaggio lungo la filiera distributiva non il materiale in sé. Ciò che abbiamo osservato è che per definire quale imballaggio impatta di meno occorre analizzare caso per caso, ragionando su parametri specifici quali la minimizzazione in peso del rapporto tara-netto, la certificazione di sostenibilità delle materie prime per produrre l’imballaggio, le distanze nel trasporto distributivo, gli impatti energetici per recuperare gli imballaggi riutilizzabili e le percentuali di riciclaggio per gli imballaggi monouso, solo per citarne alcuni. Sulla base di questi parametri nella stragrande maggioranza dei casi gli imballaggi in cartone ondulato monouso certificati Bestack sono i più efficaci nel ridurre l’impatto ambientale anche verso le cassette di plastica a sponde abbattibili riutilizzabili, verdi o blu, che si trovano nei principali supermercati.”

Più fresco più a lungo

Secondo i ricercatori del Dipartimento di scienze e tecnologie alimentari dell’Università di Bologna, utilizzare contenitori di cartone ondulato come packaging per il trasporto della frutta e della verdura fornisce un grado di conservabilità del prodotto fino al 20% superiore – nel caso di prodotti fortemente deperibili come le fragole – in termini di shelf life, cioè il tempo utile per consumare il prodotto, rispetto alle cassette di plastica sponde abbattibili . “Ci sono tre parametri da considerare: il livello di igiene degli imballaggi, le ripercussioni di questo sul prodotto, e infine come queste ripercussioni sono percepite dal consumatore” spiega Dall’Agata. Non tutti gli alimenti sono uguali e un giorno e mezzo di trasporto in più può avere un impatto molto diverso sulla shelf life del prodotto a seconda della tipologia di prodotto stesso. “Pensiamo alla diversità di tempi di conservazione delle mele e delle fragole per esempio” prosegue Dall’Agata. “La differenza alla fine ricade sulla permanenza domestica del prodotto, che si conserva più o meno a seconda di che contenitore è stato impiegato per trasportarlo. Ed è evidente che una miglior conservazione in ambito domestico porta a un migliore livello qualitativo del prodotto e anche a uno spreco minore di merce, dovuto semplicemente al fatto che il compratore finale ha più tempo per consumarla”.

Rinnovo e riciclo prima del riuso
“Dobbiamo ragionare sul fatto che il il riuso sia un vantaggio sempre, e quindi che sia un’equazione con un comportamento virtuoso dal punto di vista ambientale, perché non è sempre così: la forza della filiera della carta parte dalla rinnovabilità e dal riciclo. Questi però sembrano essere temi non ancora sufficientemente conosciuti e sui quali occorrerebbe fare più cultura.”
In questo senso la produzione di cartone ondulato sembra essere la filiera più sostenibile, prima di tutto perché utilizza un materiale naturale perennemente rinnovabile come la fibra vergine di derivazione legnosa, poi perché le materie prime impiegate hanno sempre più la certificazione di sostenibilità forestale che garantisce i piani di impianto degli alberi sono superiori ai tagli. In particolare queste certificazioni prevedono che per ogni albero tagliato se ne piantino da 3 a 5.  “Hanno questa certificazione ad esempio tutti i prodotti a base carta come tovaglioli di carta che riportano i marchi FSC e PEFC, già molto diffusi. Occorre quindi sfatare falsi miti come la correlazione tra produzione di carta e deforestazione, perché in realtà è esattamente il contrario: le foreste crescono dove è insediata la produzione di cellulosa per carta da imballaggi e il beneficio sull’ambiente è evidente. Inoltre sul riciclo della carta in Italia è leader in Europa. Nessuno come l’Italia ricicla gli imballaggi a base carta: oltre l’85% degli imballaggi immessi sul mercato viene recuperato, il che testimonia che con questa attività non creiamo rifiuti ma produciamo materie prime seconde per fare altri imballaggi.”
Se poi si pensa ai sistemi riutilizzabili occorre considerare anzitutto che essi non vengono prodotti nuovamente ogni volta, inoltre, che la gestione del riutilizzo è trascurabile. Le cassette di plastica a sponde abbattibili invece, paiono produrre una maggior impronta idrica sull’ambiente, perché vanno prima di tutto lavate e disinfettate, e costituiscono un impegno dal punto di vista dei trasporti. Esse rappresentano infatti una sorta di vuoto a rendere, e dunque una volta arrivate a destinazione devono essere riportate indietro per essere poi riutilizzate.

Chi sceglie l’imballaggio?
Sebbene questi studi siano senza dubbio significativi, la questione centrale rimane però come i risultati vengono veicolati a chi poi nella pratica si occupa di scegliere il tipo di imballaggio, e in questo caso le dinamiche sono più complesse di quello che sembrano. Non esiste un unico destinatario finale, il messaggio va veicolato su più fronti. “C’è differenza infatti tra un grande produttore ortofrutticolo – il più grande dei quali comunque in Italia non supera l’1,5% del mercato – e il medio e piccolo produttore. Solo nel primo caso è esso stesso a scegliere il packaging, specie per ragioni di branding, mentre nella maggior parte dei casi a decidere è la grande distribuzione.” In quest’ultimo caso la strategia è di scegliere un imballaggio che azzeri la distintività cromatica tra produttori ortofrutticoli, in modo da ridurne il più possibile la forza competitiva. E questo porta a prediligere nella maggior parte dei casi le cassette di plastica a sponde abbattibili.

Il mercato dell’ortofrutta insomma vede molta parcellizzazione e pone i vari interlocutori di fronte a logistiche assai complesse. “Quello che a noi interessa attraverso la diffusione di questi risultati – conclude Dall’Agata – è fare cultura. Far sì che le logiche competitive del settore ortofrutticolo si allarghino in termini di sistema paese e che considerino sempre più temi quale la sottolineatura della provenienza del singolo produttore, della qualità del prodotto in termini organolettici e di gusto, della garanzia di igiene, fino alla massima attenzione alla sostenibilità. Tutto questo perché l’Italia continui a difendere la propria offerta di ortofrutta nel mondo.”

Crediti immagine: Jgavigan, Wikimedia Commons

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.