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Il prezzo della salute: quando la sanità è raccontata con i big data

800px-Regular_strength_enteric_coated_aspirin_tabletsSALUTE – Al festival internazionale del giornalismo di Perugia quest’anno si è parlato parecchio di datajournalism, ovvero quanto le storie sono raccontate a partire dalla raccolta, dall’organizzazione e dall’analisi dei dati. In particolare i dati cosiddetti “chiusi”, spesso riguardanti i cittadini, ma altrettanto spesso non accessibili ai cittadini stessi.

Tra i dati più interessanti ci sono senza dubbio quelli riguardanti la sanità e proprio di questo si è parlato il 2 maggio scorso in un panel intitolato Il prezzo della salute: pazienti e ospedali raccontati attraverso i dati, nel quale sono intervenuti David Donald, data editor del Centro per l’Integrità Pubblica statunitense, un centro no profit per il giornalismo, Paul Radu, giornalista investigativo dell’OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project) e infine Guido Romeo di Wired Italia e Marco Boscolo, giornalista freelance, che hanno raccontato l’inchiesta #doveticuri, pubblicata su Wired nel corso del 2013 che riguarda la qualità delle strutture ospedaliere italiane.

Tre modelli di inchieste data-giornalistiche differenti ma con la caratteristica comune – sottolinea Guido Romeo nell’introdurre il panel – che la modalità attraverso cui si è lavorato a partire dai dati è tanto interessante quanto lo sono gli stessi contenuti.

L’inchiesta costruita da David Donald ha riguardato nientemeno che l’economia del sistema sanitario americano negli ultimi dieci anni, a partire dal fatto che l’efficienza della sanità rappresenta un tema centrale sia per qualità di vita dei cittadini che per la finanza pubblica del paese. La tecnica di Donald per quanto concerne la raccolta dei dati è chiara: ogni voce interessante deve essere rappresentata da una colonna del dataset e ogni soggetto di cui si analizzano i dati da una riga. L’incrocio genera le informazioni, che correttamente interpretate generano le storie. Il momento dell’importazione dei dati è dunque di primaria importanza perché è proprio in questo momento che si comincia a organizzare il lavoro, che prende forma il tutto: solo una volta che i dati sono ordinatamente ripuliti e schematizzati è possibile cominciare a interpretarne il significato.

Un aspetto altrettanto importante per una corretta interpretazione dei risultati – continua Donald – riguarda i cosiddetti “metadati” cioè i dati che riguardano i dati: quali sono i limiti di questi dati, che cosa rappresentano, quali fattori ne sono invece esclusi? Ragione per cui è fondamentale che accanto ai dati grezzi il giornalista costruisca anche una sorta di roadmap dei metadati per orientarsi con precisione nella loro lettura.

Ma datajournalism non è solo sinonimo di “noiosi dataset” come li definisce scherzosamente Guido Romeo introducendo il lavoro di Paul Radu. Come dimostra proprio il lavoro del giornalista rumeno, “oltre a lavorare chini sul fogli excel, ci si trova spesso anche in situazioni che fanno del datajournalist una sorta di novello Robin Hood che dà la caccia ai gangster”. L’inchiesta di Radu ha infatti la forma di una caccia al ladro di respiro internazionale, dove i cattivi intessono le trame del mercato nero sulla compravendita di medicinali e i buoni cercano, seguendo le tracce che derivano dai dati, la pista giusta per definirne sempre meglio i contorni. E i colpevoli. Perché dove c’è mancanza di medicinali – spiega Radu – proprio lì possiamo essere sicuri che arriverà la criminalità organizzata, nella maggior parte dei casi rubando i farmaci in altri paesi. La strategia di Radu come insieme giornalista investigativo e datajournalist si basa dunque sulla massima “Follow the money”, ovvero focalizzarsi prima di tutto sui dati economici per individuare dove si può insinuare il mercato nero dei medicinali e tracciarne le rotte.

Infine, è stata la volta del Bel Paese e dell’inchiesta #doveticuri, che ha raccontato l’attuale offerta sanitaria italiana a partire dai dati dell’Agenas, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, che produce ogni anno per il ministero della salute gli indicatori dell’offerta sanitaria italiana. Per capirne al volo l’importanza di questi dati per il cittadino basti pensare che a livello regionale la spesa sanitaria scopre il 60-75% delle tasse che paghiamo, mentre a livello nazionale c’è addirittura una tendenza al debito, nel senso che la spesa sanitaria non risulta quasi mai coperta dalle tasse regionali e viene quindi ripianata dal fondo sanitario nazionale. In particolare i dati significativi per l’inchiesta provengono dalle SDO (schede di dimissioni ospedaliere) che rappresentano l’unico documento utilizzabile per paragonare diverse strutture sanitarie e per questo usato dalle regioni per farsi rimborsare le spese. Questi dati però sebbene riguardino i cittadini, non sono pensati per la fruizione da parte del grande pubblico, ma solo per l’uso interno da parte degli operatori sanitari. “Molto cinicamente è una conta di morti ospedale per ospedale” spiega Marco Boscolo “ma rimane forse il miglior indicatore di contesto internazionale per valutare l’efficacia di un singolo reparto.” Gli indicatori considerati sono stati più di 70 e si riferiscono ai dati 2012, che dipingono la situazione nell’anno precedente. L’elemento però forse più interessante a livello metodologico è stato selezionare indicatori per trattamenti cosiddetti “non elettivi”, ovvero interventi sanitari per i quali i pazienti non possono programmare intervento, quindi urgenti. Rimangono dunque esclusi da una parte il turismo sanitario e dall’altra la selezione della struttura ospedaliera sulla base del passaparola.

I giornalisti di #doveticuri però non si sono fermati a questa prima mappatura, ma sulla base di questi dati, hanno cercato di costruire un indice per calmierare le strutture che operavano male e spendevano esageratamente per le loro prestazioni. L’incrocio dunque tra qualità e denaro. Qui si è scoperto in prima battuta che che il 70% del debito della sanità italiana era procurato da Lazio, Campania, Puglia e Sicilia, in secondo luogo che spendere tanto non significa necessariamente spendere male: la regione Lazio per esempio, racconta Boscolo, spendeva molto ma aveva una buona qualità, mentre, dal lato opposto, la Calabria, anche se non aveva spese molto alte, al tempo stesso aveva una qualità sanitaria pessima, il che sta a significare poco investimento, e questo a lungo termine potrebbe avere degli effetti negativi sui futuri pazienti.

Esperienze molto differenti dunque per raccontare la sanità intorno al mondo, che si diversificano per i metodi utilizzati, per i paramenti considerati e per come sono stati raccolti i dati, ma tutte nate da un terreno comune: cerchiamo i dati, e da lì partiamo.

Crediti immagine: Ragesoss, WIkimedia Commons

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.