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Passato il test di Turing: un successo controverso

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ATTUALITÀ – Si chiama Eugene Goostman, è di Odessa (Ucraina), ha 13 anni, porta dei grandi occhiali tondi e ha un sorriso furbetto. E ha appena passato il test di Turing, secondo l’università di Reading (Regno Unito). Ma non potrete congratularvi con lui, perché non è un ragazzo ma un programma informatico.

Il test di Turing, dal nome del suo inventore, il pioniere britannico dell’informatica Alan Turing, serve a determinare se un programma sia capace di pensare e di riprodurre l’intelligenza umana. Il test, formulato nel 1950, è considerato da alcuni come uno dei sacri Graal dell’intelligenza artificiale.

Il dispositivo del test realizzato sabato 6 giugno alla Royal Society di Londra funziona in questo modo: il programma doveva rispondere, per interposta tastiera, a dei giudici umani, durante sessioni di discussione di cinque minuti. Al termine di questi scambi, stava ai giudici decidere se il loro interlocutore fosse un umano o un robot. Se il programma informatico fosser riuscito a convincere almeno il 30% degli umani, il test sarebbe stato da considerarsi riuscito.

La competizione si è svolta testando cinque programmi. Di questi, soltanto “Eugene” è riuscito a passare il test con successo, convincendo il 33% dei giudici. Sviluppato da Vladimir Veseloc, ingegnere informatico russo trapiantato negli Stati Uniti, e da Eugene Demchenko, ucraino emigrato in Russia (lampante dimostrazione che i due popoli possono collaborare, se ci provano), il programma aveva ottenuto già in passato risultati simili, ma appena sotto il 30%.

Nel ’50, Alan Turing, già ideatore durante la Seconda guerra mondiale del sistema di decifrazione dei codici nazisti (Enigma), predisse che un computer, di lì a una cinquantina d’anni, avrebbe passato il suo test. La riuscita del test è avvenuta con notevole – e, per i più malpensanti, sospettoso – tempismo, appena qualche mese dopo la grazia concessa dalla Corona britannica a Turing: omosessuale, il matematico era stato condannato dopo la guerra a subire la castrazione chimica. Si sarebbe suicidato due anni dopo Biancaneve-style, mangiando una mela avvelenata. Al cianuro, nel suo caso.

Kevin Warwick, professore all’università di Reading e organizzatore del test, si è dichiarato molto soddisfatto dell’avvenimento, opportunamente programmato il giorno del sessantesimo anniversario della morte del suo autore. A dirla tutta, non è la prima volta che viene annunciato un successo relativo al test di Turing, ma è la prima volta che ciò avviene senza che gli argomenti della discussione siano stati programmati prima. Al di là delle critiche di lungo corso su validità e portata reale del test (ma anche sulla formulazione iniziale del suo autore, soprattutto riguardo la soglia del 30% di umani convinti, un’intepretazione generata da un’interpretazione discutibile di una citazione di Turing), si sono levate voci tendenti a minimizzare il risultato di Eugene.

In particolare, il Daily Telegraph ha rilevato alcuni punti importanti. In primo luogo, il programma si fingeva un adolescente: questa interpretazione del test ne avrebbe facilitato la riuscita, poiché gli interlocutori umani tendono ad attribuire più facilmente all’età un tipo di comunicazione poco ortodosso. Anche la scelta della nazionalità fittizia è stata oggetto di critiche, in quanto avrebbe portato i giudici a ritenere le disfunzioni sintattiche come conseguenza del fatto che il ragazzo non fosse di madrelingua inglese. Infine, per il momento l’articolo scientifico coi dettagli dell’esperimento non è ancora stato pubblicato, e l’università di Reading non ha voluto fornire al quotidiano britannico alcuna copia delle conversazioni.

Più in generale, i dettagli metodologici (numero d’interlocutori umani, risultati dei concorrenti di Eugene, o il modo in cui si è tenuto conto dei diversi errori) sono poco chiari, e l’università di Reading si limita a menzionarli en passant nel suo comunicato stampa. Anche il commento di Joshua Tenenbaum, membro del gruppo di Scienza cognitiva computazionale dell’MIT, e autore della rivista tecnologica Wired, a proposito dell’evento, è stato una doccia fredda: “Io non ci vedo niente d’impressionante”, ha dichiarato. E Rodney Brookes, docente di robotica dello stesso istituto, ha aggiunto: “Non fa assolutamente alcuna differenza per la robotica né per l’intelligenza artificiale”.

Insomma, per l’istituto americano, la scoperta inglese non sarebbe altro che il risultato prevedibile di un test vecchio di sessant’anni. Che il risultato sia o meno importante, se volete provare anche voi a fare due chiacchiere (in inglese) con Eugene, non avete che da cliccare qui.

Crediti immagine: Wikimedia Commons

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