SCOPERTE

L’illusione della striscia vincente

Michael Jordan at Boston GardenSCOPERTE – Ha la “mano calda”. Chiunque sia appassionato di basket conosce bene quest’espressione, usata per indicare un giocatore che, in piena trance agonistica, segna un canestro dopo l’altro. Ma il fenomeno della mano calda è noto anche al di fuori della pallacanestro: nelle scienze cognitive indica la nostra tendenza a vedere strisce di eventi positivi o negativi in situazioni che invece sono casuali. Ciò che ancora non è chiaro è se questa tendenza sia un prodotto culturale che viene acquisito durante l’infanzia o una predisposizione radicata nella struttura del nostro cervello. Alcuni studiosi delle Università di Rochester e Clarkson potrebbero aver chiarito questo dilemma: hanno infatti scoperto che il fenomeno della mano calda non è un’esclusiva umana ma si ritrova anche nelle scimmie.

I risultati del loro studio, pubblicato sul Journal of Experimental Psychology: Animal Learning and Cognition, sono stati ottenuti grazie a una sorta di videogioco che i ricercatori hanno sviluppato per capire se le scimmie credessero o no nelle strisce positive o negative di eventi. Il gioco consentiva a ciascuna scimmia di scegliere fra due opzioni – quella di destra e quella di sinistra – e ricevere un premio nel caso la risposta fosse giusta. Gli scienziati hanno creato tre scenari: in due di essi la risposta giusta tendeva a ripetersi sempre nello stesso lato oppure ad alternarsi fra uno e l’altro con regolarità; nel terzo, invece, la scelta corretta era completamente casuale. Nei primi due casi, i macachi Rhesus (Macaca mulatta) usati per l’esperimento hanno imparato rapidamente la sequenza e sono stati in grado di individuare con facilità la risposta corretta. Nel terzo scenario, invece, le cose sono andate in maniera diversa: anche dopo settimane di gioco, infatti, le scimmie continuavano a scegliere uno dei due lati come se ci fosse un ordine nella distribuzione delle risposte e non una sequenza totalmente casuale.

Scimmie e esseri umani condividono quindi la convinzione nell’esistenza di sequenze di eventi ordinati anche quando vengono messi più e più volte di fronte all’evidenza che tali eventi sono invece casuali. Una possibile spiegazione, secondo gli autori dello studio, potrebbe essere dovuta al fatto che, in natura, la distribuzione del cibo non è totalmente casuale ma segue dei pattern particolari. Nel corso dell’evoluzione, quindi, gli organismi in grado di individuare e riconoscere questi schemi sarebbero stati avvantaggiati in quanto più efficaci nella ricerca di risorse. Un vantaggio decisamente superiore rispetto al difetto di vedere schemi anche laddove non ce ne sono.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine:  Steve Lipofsky, Wikimedia Commons

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Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.