CULTURA

Ascension: una mini-serie TV ripesca un vecchio progetto per esplorare i pianeti

CULTURA – Sono passati cinquantun’anni da quando la nave ha lasciato la Terra e tutto l’equipaggio e i passeggeri dell’astronave sta per festeggiare la ricorrenza, quando un evento sconvolge la regolare e regolata vita di bordo: il corpo senza vita di Lorelei viene ritrovato sulla spiaggia artificiale. Un sopralluogo del secondo in comando non lascia scampo a equivoci: è omicidio, il primo mai commesso a bordo della nave. Chi è l’assassino? Perché ha ucciso? Comincia così lo special event, come si dice nel gergo televisivo americano, del canale tematico SyFy che prende il nome dall’astronave protagonista delle tre serate, Ascension.

Siamo a metà del suo viaggio centenario verso Proxima Centauri con lo scopo di creare una colonia umana e oramai tutti i più giovani sono nati direttamente sull’astronave e non hanno mai visto la Terra. Probabilmente molti di loro non vedranno nemmeno la “terra promessa”, e quindi non stupisce che abbiano molti dubbi e siano irrequieti. E non la vedrà nemmeno il capitano Denninger (“Contano solo due capitani: quello che è partito dalla Terra e quello che atterrerà su Proxima”) e sua moglie Viondra (interpretata da Tricia Helfer, che i fan di Battlestar Galactica ricorderanno come interprete di Numero 6), ma si adoperano perché la missione abbia successo e per gestire il fragile potere politico continuamente sotto attacco da più lati.

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Ascension segna il ritorno alla fantascienza classica del canale tematico americano dopo anni difficili per scelte e successi commerciali. E lo fa con una grande co-produzione americana e canadese. La particolarità di questa mini-serie, che se avrà fortuna potrà essere prolungata in una serie regolare, è che l’idea di costruire un’astronave generazionale così fatta non è del tutto fantascientifica, ma prende ispirazione da un progetto americano degli anni Cinquanta che aveva il nome in codice di Orion. Non ha nulla a che vedere con la capsula spaziale recentemente testata dalla NASA e, anzi, quando il progetto è iniziato nella primavera del 1958 l’agenzia spaziale americana non era ancora nata. Tutto nasceva dall’ipotesi che una serie di esplosioni nucleari potessero fornire la spinta necessaria a muovere l’astronave alla scoperta del Sistema Solare. Prima ancora di mettere un uomo sulla Luna, insomma, gli americani già pensavano al futuro dell’esplorazione spaziale.

Con l’atomic drive “Marte nel 1965, Saturno nel 1970”

L’idea è venuta nel 1953 a Theodor Taylor, un esperto degli effetti delle bombe atomiche: sarebbe possibile sfruttare una serie di esplosioni atomiche per far viaggiare nello spazio una nave di grandi dimensioni? L’idea dell’atomic drive era già nell’aria dagli anni Quaranta, grazie alle riflessioni di Stanislaw Ulan e Frederick de Hoffman derivanti da una piccola serie di esperimenti del 1944, condotti all’interno del Progetto Manhattan. L’idea azzardata, ma teoricamente efficace, era di eliminare la camera di combustione: le bombe atomiche sarebbero dovuto esplodere fuori dall’astronave e fornire la spinta necessaria a spingere l’astronave in avanti. Per usare le parole di George Dyson, noto divulgatore scientifico che sul progetto Orion ha scritto un intero libro, l’astronave atomica sarebbe dovuta essere l’unico pistone all’interno di una camera di combustione enorme: l’intero universo.

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Al progetto partecipò anche il fisico teorico di Princeton Freeman Dyson, il padre di George, che nell’anno accademico ’58 – ’59 si recò addirittura a San Diego, alla sede locale dell’Advanced Research Projects Agency (ARPA) del Dipartimento della Difesa, dove il progetto aveva preso casa. La NASA non era ancora nata e i militari erano gli unici che dimostravano un certo piccolo interesse per l’astronave atomica. Secondo Dyson, l’idea era tutt’altro che balzana e meritava di essere studiata. Mentre i sovietici stavano vincendo alla grande la corsa allo spazio con i successi degli Sputnik e gli americani si stavano concentrando sui razzi a combustibile chimico (come quelli ancora oggi impiegati), la propulsione atomica prometteva di essere libera dalle limitazioni di temperatura e di potenza. In più avrebbe permesso di trasportare molto più materiale, fino a 100 tonnellate per i viaggi più brevi, diverse migliaia nelle configurazioni immaginate per Marte e Saturno. Insomma, in un pacifismo un po’ retorico lo stesso Dyson immaginava, in un articolo apparso su Science il 9 luglio del 1965, che “le bombe che avevano ucciso e menomato a Hiroshima e Nagasaki un giorno avrebbero potuto aprire i cieli per l’umanità”.

Una questione politica

Il “reasonable program”, come lo definisce lui stesso in quell’articolo, non ha però mai superato la fase di studio iniziale, sebbene i test condotti sui modelli si siano rivelati più che buoni. Dyson individua diversi motivi per il fallimento del progetto, chiuso definitivamente nel 1963. Il principale è l’accordo siglato tra USA, URSS e Regno Unito che bandiva gli esperimenti nucleari: il progetto Orion era diventato fuorilegge. Contemporaneamente, il progetto iniziato come militare era passato nelle mani della NASA, che per sua natura non può occuparsi di progetti top-secret. Un ultimo fattore decisivo, dice Dyson, è che la comunità scientifica non vedeva l’interessa nel lavorare sulla propulsione dei viaggi spaziali: si trattava di questioni da ingegneri. Così facendo, correttamente, cinquant’anni fa individuava il limite principale che l’esplorazione umana dello spazio che permane ancora oggi: i limiti dei razzi a propulsione chimica.

La politica gioca un ruolo determinante anche nella serie TV che, oltre che per quest’affascinante citazione storica, merita di essere visto. Prima di tutto perché permette di osservare i rapporti umani e le vicende di un gruppo di americani che sono rimasti fermi alla tecnologia, ma soprattutto ai costumi degli anni Cinquanta: niente battaglie per i diritti civili degli afroamericani, niente liberazione sessuale, niente Summer of Love, niente Torri Gemelle. L’ambiente ristretto, poi, permette di analizzare le tensioni che l’idea utopica di un manipolo di coraggiosi, “eroi” vengono definiti sullo schermo, genera su chi quell’idea la sta subendo senza averla potuta scegliere. Il tutto, sullo sfondo di un ambiente fantascientifico classico ben congegnato, in cui le cose non sono del tutto come sembra. A cominciare dalla stessa astronave…

@ogdabaum

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Immagini: SyFy

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it