Melioidosi: un primo prototipo di vaccino
Una malattia poco conosciuta ma molto pericolosa, terza per diffusione in Tailandia. Oggi il primo passo verso un futuro vaccino
SCOPERTE – La melioidosi, i cui sintomi sono spesso confusi con quelli della tubercolosi, è una malattia infettiva molto grave in alcune aree del mondo, la terza per diffusione in Tailandia. Secondo recenti stime mieterebbe in quella zona 89 mila morti all’anno. Nella Tailandia del nord, i tassi di mortalità arrivano al 40% dei contagiati.
Una vera cura non è disponibile, se non tramite dosi massicce di antibiotici, pesanti per l’organismo. Oggi siamo tuttavia vicini ad una svolta: un team composto da ricercatori dell’Università Statale di Milano e dell’Università inglese di Exeter ha posto le basi per il futuro sviluppo di un vaccino contro questa grave malattia. I risultati dello studio – finanziato anche dalla Fondazione Cariplo – sono apparsi in questi giorni sulla rivista Vaccines. Ne abbiamo parlato con Louise Gourlay, una delle ricercatrici dell’Università di Milano che ha condotto lo studio, e che da Scozzese ha scelto l’Italia per il suo percorso di ricercatrice. “Pur in una situazione di mancanza di fondi resta il fatto che in Italia si fa ricerca d’eccellenza” racconta a OggiScienza.
Che cos’è la melioidosi
La melioidosi è causata dal patogeno batterico Burkholderia pseudomallei, endemica nelle regioni tropicali e subtropicali del mondo. Non si trasmette da uomo a uomo, ma tramite un batterio che vive nel terreno; per questa ragione il contagio si propaga agevolmente nelle zone coltivate a risaia, dove le persone lavorano spesso senza protezione per gambe e piedi, rimanendo costantemente a stretto contatto con la terra e le acque infette. Anche se non è endemica in Europa, il patogeno è comunque stato inserito dai ministeri della difesa inglese e americano fra le potenziali bio-minacce da tenere sotto controllo.
Perché un vaccino è importante
La malattia si manifesta in diverse forme cliniche, quali setticemia e insufficienza d’organo, con alti tassi di mortalità a causa della mancanza di test diagnostici adeguati, di trattamenti antibiotici inefficienti, e delle frequenti ricadute. “I problemi sono due” spiega Gourlay. “Anzitutto che la diagnosi avviene spesso molto tardi, dato che i sintomi vengono confusi con quelli della tubercolosi, anch’essa endemica in queste zone; inoltre, a tutt’oggi, l’unica cura che possediamo per far fronte alla malattia è una terapia antibiotica lunghissima, fino a 20 settimane di trattamento, che però non dà sempre i risultati sperati. La mortalità fra i malati è ancora troppo alta, anche perché in molti casi – e non sappiamo ancora perché questo avviene – a essere maggiormente colpiti sono i pazienti con diabete di tipo 1, quindi già in stato di cronicità. La via del vaccino risulta quindi la migliore in assoluto, perché si rivolge sia alle persone già infette, che agli individui sani” precisa Gourlay.
Per ora solo un prototipo
“Al momento si tratta di un prototipo, ci vorranno ancora anni di test in vivo prima di poter pensare di poter diffondere un vaccino contro la melioidosi, ma si tratta comunque di un passo in avanti importante, perché siamo riusciti a individuare un gruppo di antigeni che producono sia una risposta immunitaria innata che umorale nei topi-modello” precisa Gourlay. Il punto nevralgico è appunto aver indotto una risposta immunitaria innata nel topo affetto da melioidosi cronica. La malattia mostra infatti due fasi: una acuta e una cronica. Siccome si tratta di un batterio che si replica dentro la cellula, esso non risulta visibile agli anticorpi e quindi l’azione del vaccino deve essere quella di attivare sia gli anticorpi che la risposta immunitaria innata. Per questo motivo il prototipo di vaccino è costituito da diverse proteine-antigene: alcune innescano la produzione di anticorpi, altre stimolano la risposta immunitaria innata, fornendo così una maggiore protezione contro l’infezione cronica.
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