E se la dieta diventasse personalizzata?
Conoscere i batteri che ospitiamo nell'intestino potrebbe essere la chiave per rimanere in forma e in salute.
SPECIALE APRILE – Il nostro peso potrebbe essere determinato non solo da quello che mangiamo o da quanto sport pratichiamo. Se il nostro fisico è asciutto o in sovrappeso, in un certo senso è “scritto” all’interno del nostro corpo. Nel nostro intestino infatti ospitiamo trilioni di batteri, una quantità così elevata che va a costituire circa 1,5 Kg del nostro peso corporeo. I batteri restano nel nostro corpo non solo per trovare nutrimento e condizioni di vita ottimali. Nel nostro intestino contribuiscono anche al nostro stato di salute. Tra le varie funzioni che svolgono c’è anche l’assorbimento di nutrienti e la produzione dell’energia, due proprietà che influenzano la nostra massa corporea.
La popolazione batterica intestinale è composita e ogni cambiamento del suo equilibrio può determinare condizioni di obesità, può portare all’insorgenza di malattie metaboliche o allergie. Presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è sorto un Consortium clinico-laboratoristico per studiare i profili di microbiota. Lo studio si basa sulle caratteristiche genetiche del microbiota, che vengono analizzate tramite il sequenziamento di seconda generazione, una tecnica che consente la lettura dei geni che compongono il DNA estratto dall’insieme dei batteri intestinali. L’analisi del genoma permette l’identificazione della composizione batterica presente nell’intestino. “E oggi la caratterizzazione è così precisa che ci permette di distinguere il microbiota tipico di ciascun individuo, in modo personalizzato”, ha spiegato Valerio Nobili, responsabile di malattie epato-metaboliche dell’Ospedale Bambino Gesù.
Allo studio dei genomi si affianca l’analisi delle proteine e delle sostanze prodotte dai batteri. La caratterizzazione di tali sostanze avviene mediante un secondo strumento chiamato spettrometro di massa. Al termine delle analisi del microbioma, si ottiene una mappa genetica e una mappa biochimica, che costituiscono un’impronta caratteristica di ciascun individuo.
Oggi una conoscenza così approfondita del microbioma sta incominciando a permettere il confronto con le condizioni degli ospiti, sani o malati che siano. Così è stato possibile notare una certa corrispondenza tra manifestazioni cliniche e composizione della flora batterica. È ad esempio il caso del fegato grasso, una condizione che si manifesta come conseguenza dell’obesità anche nei bambini. Un recente studio di Nobili, pubblicato su Hepatology, ha dimostrato che i bambini obesi e affetti da fegato grasso hanno alcune comunità di batteri sbilanciate rispetto a quelle dei soggetti sani: le colonie di Ruminococcus e Dorea sono troppo numerose, quella di Oscillospira troppo scarsa.
“È un risultato importante”, ha commentato Nobili, “perché oggi la patologia del fegato grasso è in aumento anche in età infantile, proprio a causa dell’incremento dei bambini sovrappeso”. Si stima infatti che tra il 2 e il 10% dei bambini europei soffrano di fegato grasso, una condizione che non ha una cura e che facilmente può degenerare in altre patologie. Oggi l’unica terapia che si può prescrivere è infatti la dieta e l’esercizio fisico. L’individuazione delle caratteristiche del microbioma di questi bambini permetterà di introdurre nella loro dieta probiotici capaci di riequilibrare la flora batterica, favorendo la guarigione epatica e il raggiungimento di un adeguato peso corporeo.
Il microbiota di un bambino di età inferiore a un anno è molto diverso da quello di un adulto, sia per tipo di specie presenti sia per la variabilità a cui è sottoposto in seguito agli stimoli esterni. La modalità di parto, l’allattamento e il cibo introdotto dopo lo svezzamento sono tutti elementi in grado di influenzare il microbioma. “L’Ospedale Bambino Gesù è all’avanguardia in questo tipo di studi soprattutto sui bambini essendo un ospedale pediatrico, ma lo stesso tipo di risultati potrebbero essere presto raggiunti anche negli adulti”, ha spiegato Nobili sottolineando che ci sono sperimentazioni già avviate.
Sembra quindi che l’alimentazione non sia solo importante per controllare la qualità dei nutrienti che introduciamo nel nostro corpo o l’apporto calorico. Il cibo che ingeriamo gioca un ruolo chiave anche nel mantenere in un corretto equilibrio i batteri che ospitiamo e che a loro volta mantengono in salute noi stessi. La bassa introduzione di grassi saturi, un buon apporto di carboidrati e un contenuto apporto proteico sono indispensabili per favorire le popolazioni batteriche.
Studi come questi tuttavia aprono la speranza di ripristinare il giusto equilibrio tra i batteri, addirittura in condizioni di malattia, dove magari la semplice dieta non è sufficiente. Oggi sono in atto studi anche sul morbo di Crohn o sulla colite ulcerosa. “Introdurre in modo specifico i probiotici servirà a reintrodurre i batteri carenti o a contrastare quelli in eccesso. E questo eviterà anche l’utilizzo di sostanze, che hanno una valenza scientifica, e che oggi vengono invece prescritte in modo non specifico”, ha sottolineato Nobili.
Una maggior conoscenza dei batteri che ospitiamo nell’intestino e un intervento mirato potranno aiutarci sempre più a rimanere in forma e in salute.
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