SCOPERTE

IceCube: alla ricerca del neutrino che non c’è

Gli studi condotti tra i ghiacci dell'Antartide escludono al momento l'esistenza di un quatro tipo di neutrino, che potrebbe creare grossi problemi al Modello Standard.

IceCube exterior
Gli studi condotti grazie al rilevatore di neutrini IceCube in Antartide hanno concluso che il neutrino sterile non è stato raccolto. Crediti immagine: University of Wisconsin-Madison

SCOPERTE – Un chilometro cubo di ghiaccio per cercare il misterioso neutrino sterile. La sua esistenza avrebbe creato seri problemi al Modello Standard, il modello che descrive le particelle elementari e le loro interazioni, ma secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Physical Review Letters, sembra che il neutrino sterile non esista. I neutrini conosciuti e previsti dal Modello Standard sono tre, ma diversi esperimenti hanno suggerito che ve ne sia un quarto tipo che non interagisce per nulla con la materia, se non gravitazionalmente, e che interferisce solo con gli altri neutrini. La ricerca, svolta dai ricercatori di IceCube, un rivelatore di neutrini di un chilometro cubo costruito nei ghiacci dell’Antartide, ha però escluso al 99% la possibilità dell’esistenza di questo quarto tipo di neutrino.

I neutrini sono le particelle più sfuggenti e leggere conosciute e sono emessi in alcuni tipi di decadimenti. La sorgente più abbondante nelle nostre vicinanze è il Sole, ma forti sorgenti di neutrini sono anche le supernove e una gran quantità ne fu prodotta durante il Big Bang. La loro esistenza è stata postulata nel 1930 dal fisico Walfang Pauli per spiegare il decadimento beta, un particolare tipo di decadimento radioattivo. Sono particelle elementari che fanno parte del gruppo dei leptoni, composto da elettroni, muoni e tauoni e dai tre rispettivi neutrini ad essi associati, i neutrini elettronico, muonico e tauonico. Le prime tre particelle interagiscono anche elettromagneticamente (cioè per esempio interagiscono con i fotoni assorbendo o emettendo luce) e per questo sono molto semplici da osservare. I rispettivi neutrini invece interagiscono solo attraverso la gravità e l’interazione debole, una forza a cortissimo raggio. Questa caratteristica rende estremamente rare le interazioni dei neutrini con la materia e rende quindi le particelle molto difficili da osservare. Di fatto il nostro corpo è attraversato da miliardi di neutrini al secondo, ma la probabilità che uno di essi interagisca con una delle particelle del nostro corpo è bassissima. La stessa Terra è attraversata dai neutrini come se fosse trasparente. L’unico modo che abbiamo per osservarli è quindi costruire rivelatori di dimensioni enormi, in modo da riuscire, ogni tanto, a osservare un neutrino interagire con un’altra particella. Esistono diversi tipi di rivelatori di neutrini, ma tutti in generale hanno in comune le dimensioni molto grandi.

Non fa eccezione l’IceCube. Costruito al Polo Sud, presso la base Scott-Amundsen, è costituito da migliaia di sensori distribuiti in un volume di un chilometro cubo di ghiaccio capaci di rilevare eventuali interazioni tra i neutrini e le molecole d’acqua del ghiaccio. È stato progettato per osservare neutrini con energie nell’ordine dei TeV, prodotti dai fenomeni astrofisici più violenti. Malgrado la sua grandezza, viene osservato solo un neutrino ogni venti minuti. L’IceCube è stato pensato come un gigantesco telescopio puntato verso l’emisfero nord. La Terra in quella direzione infatti funge da schermo verso le altre particelle e lascia passare solo i neutrini. Grazie alla disposizione dei sensori è possibile con osservazioni molto lunghe raccogliere abbastanza segnale da disegnare una mappa del cielo delle sorgenti di neutrini. Le ricerche tuttavia non si fermano all’astrofisica, ma si estendono anche alla fisica elementare.

I neutrini infatti continuano a essere un problema per la fisica. Il Modello Standard ne spiega esattamente i tre tipi osservati (il tipo viene detto sapore), tuttavia li prevede anche privi di massa. Da quando però è stato accertato che i neutrini oscillano cambiando sapore, questa previsione è caduta. Questo cambiamento di sapore implica che i neutrini hanno una piccolissima massa, un dato che pone un problema nel Modello Standard. Sono stati proposti perciò diversi meccanismi e congetture per spiegare la massa del neutrino e il perché sia così piccola, e alcuni di questi prevedono l’esistenza di altri neutrini, anche molto più massivi. Nel corso degli anni molti esperimenti hanno suggerito che effettivamente possa esistere un neutrino sterile, così chiamato a causa del fatto che, a differenza dei neutrini normali, non interagirebbe affatto con la materia, ma solo con gli altri neutrini. Tuttavia finora non ci sono state prove decisive. Se questi neutrini esistessero, metterebbero ancora più in crisi il Modello Standard, ma sarebbero anche la prova di una fisica al di là di esso che potrebbe aiutare a spiegare numerosi problemi, tra cui la natura della materia oscura e il motivo per cui nell’universo la materia è di più dell’antimateria.

I ricercatori del IceCube, guidati da Francis Halzen, professore di fisica della University of Wisconsin-Madison, hanno analizzato i dati raccolti per un intero anno, circa 100 000 rilevamenti, per cercare di individuare le tracce dell’eventuale quarto neutrino suggerito dai precedenti esperimenti. Se fosse esistito, tale neutrino avrebbe dovuto lasciare una traccia evidente nei dati. I risultati però sono stati completamente negativi: non sono stati rivelati segnali dell’esistenza di un quarto neutrino. “Come nel caso di Elvis, le persone vedono indizi del neutrino sterile ovunque”, commenta Halzen. “C’era questa raccolta di indizi e i teorici si erano convinti che esistesse”.

In ogni caso, secondo Halzen, non essere riusciti a osservare il neutrino sterile significa che la fisica rimane incapace non solo di spiegare il motivo della minuscola massa del neutrino, ma persino perché abbia una massa.

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale