La strategia del cervello, che fa replay per aiutare a ricordare
Quando alla fine di un percorso c'è una ricompensa, il cervello "manda in onda" alcuni replay del tragitto appena fatto, rinforzandone il ricordo in modo da poterla raggiungere di nuovo
SCOPERTE – Se seguiamo un percorso per la prima volta e alla fine troviamo una ricompensa (un bel ristorante in una città nuova, un panorama mozzafiato fuori dai sentieri più battuti…) il cervello farà in modo di ricordarsi come ci siamo arrivati. Anzi, ancora meglio: alcuni neuroni specializzati nell’ippocampo faranno un vero e proprio replay della strada, ma in senso inverso, per garantirci di saperla trovare una seconda volta. Più preziosa è la ricompensa, più volte il cervello si darà da fare per creare questo replay.
Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine e i risultati – per ora limitati allo studio su modelli animali – sono stati pubblicati sulla rivista Neuron. Secondo gli autori, sia la presenza sia la “caratura” della ricompensa influenzano l’attività dell’ippocampo, la struttura del cervello dei vertebrati nota per il suo ruolo legato alla memoria. Non solo si occupa di formare i ricordi, ma anche di immagazzinarli e stabilire le relazioni spaziali.
Il gruppo di David Forter, professore di neuroscienze, è partito da un’affascinante aspetto della memoria che la scienza conosce da un bel po’: quando un animale interrompe uno spostamento il suo cervello elabora le informazioni relative, con una sorta di replay della strada percorsa. Mentre si viaggia le onde cerebrali oscillano in su e in giù, dice Foster, ma quando ci si ferma, queste onde si calmano e oscillano più lentamente. Fatta eccezione per alcuni balzi. Questi picchi durano un decimo di secondo e si verificano in continuazione, ogni secondo: non sono altro che i replay in corso in alcuni specifici neuroni dell’ippocampo chiamati place cell.
Ognuna di queste place cell si attiva quando il ratto si trova in una specifica posizione nell’ambiente che sta esplorando, come hanno mostrato le ricerche condotte nel laboratorio di Foster in passato. Lavorando sui modelli animali, infatti, lui e i colleghi hanno scoperto che prima di andare in qualsiasi direzione i ratti elaborano il tragitto con una progressiva attivazione di queste cellule. La stessa sequenza di attivazione avveniva a volte anche al contrario, mentre gli animali erano a riposo. Ma nessuno riusciva a capire perché.
I ratti osservati nel nuovo studio dovevano svolgere un compito piuttosto semplice: andare avanti e indietro tra due punti estremi chiamati A e F (passando per i punti intermedi B, C, D, ed E). A volte, completata la corsa, venivano ricompensati con un sorso di una bevanda al sapore di cioccolata, ma continuavano a muoversi anche quando non ricevevano nulla.
Durante la corsa, gli scienziati sono stati in grado di monitorare l’attività elettrica di oltre 100 place cell in contemporanea, grazie a microscopici cavi (più sottili di un capello) collegati all’ippocampo del cervello dei ratti. Ogni cellula si attivava quando il ratto raggiungeva uno specifico punto del percorso, come il punto B o il C.
I ratti che ricevevano la ricompensa nella destinazione finale avevano lo stesso numero di replay del percorso sia in avanti che indietro, con le cellule intente a rappresentare la sequenza A, B, C, D, E, F o a volte l’esatto contrario. Ma ben diversa era la situazione quando a cambiare era il pregio della ricompensa: più era buona più numerosi diventavano i replay, e viceversa. Così i ricercatori hanno capito che questa ripetizione “è il modo in cui il cervello associa la ricompensa al percorso intrapreso per raggiungerla”, dice Foster. Pensate di trovarvi naufraghi su un’isola deserta e raggiungere, camminando a caso, una fonte d’acqua. Un premio troppo prezioso per lasciarlo scappare, e che probabilmente indurrebbe il cervello a richiamare la strada fatta rendendo importanti, una sorta di landmark, dettagli del percorso che all’andata sembravano irrilevanti.
Sulla base di queste nuove conoscenze sarà possibile condurre altri studi per comprendere i dettagli del meccanismo del “replay al contrario”: sullo sfondo resta l’ipotesi, ancora da verificare, che accada lo stesso anche nel cervello umano. Foster vede la sua scoperta come un avanzamento nelle neuroscienze ma anche come una lezione di vita. I replay sono possibili solo quando si fa una pausa, ovvero quando i ratti avevano il tempo di godersi un buon sorso di cioccolata: il cervello dunque ha bisogno di fare delle pause dalle “corse” tra A e F. Nel nostro caso, dalla vita di tutti giorni e dai suoi impegni.
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