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Cittadinanza, ambiente, informazione: l’esperienza di Cittadini Reattivi

Cittadini Reattivi è un progetto di civic journalism incentrato su ambiente, salute e legalità. Indaga sui siti inquinati in Italia e mappa le buone pratiche dei cittadini

“Noi abbiamo anche una vita personale oltre a quella professionale e sicuramente il toccare la sofferenza e il bisogno di giustizia in giro per l’Italia per certi versi mi ha un po’ provato, pero alla fine mi ha fatto capire che ci sono persone che sono davvero di ispirazione per tutti noi, come ho raccontato da Casale Monferrato alla Sicilia.” Crediti immagine: Alessio Jacona

APPROFONDIMENTO – La domanda di partecipazione della cittadinanza alle decisioni su temi come salute, ambiente e gestione del territorio negli ultimi anni si è fatta sempre più forte. La questione è all’ordine del giorno e in molti casi è diventata ineludibile portando a volte anche a uno scontro diretto con le istituzioni. I casi in Italia sono molti: si va dal futuro dell’ILVA di Taranto alla problema della Terra dei fuochi, dalla Ferriera di Trieste allo stabilimento Eternit di Casale Monferrato. Ormai quasi in ogni città normali cittadini, mamme, medici, esperti, giornalisti si sono mobilitati per denunciare le criticità ambientali e sanitarie, possibili o accertate, e per chiedere alle istituzioni informazioni chiare e politiche adeguate. Questo ha portato a numerose iniziative, organizzate a tutti i livelli, da semplici associazioni di rione a comitati che includono esperti come tecnici, scienziati o avvocati.

Una delle iniziative che si sono segnalate negli ultimi anni per la capacità di innovazione e di coinvolgere cittadini sull’intero territorio nazionale è Cittadini Reattivi. Si tratta di un progetto di civic journalism (ovvero giornalismo partecipato) su ambiente, salute e legalità, che indaga sui siti inquinati in Italia e che mappa le buone pratiche dei cittadini. Questa tipo di giornalismo è una delle tendenze più recenti che si stanno sviluppando soprattutto nel campo delle inchiesta civiche e che sta attraversando un grande sviluppo, specie nel mondo anglosassone. Il Tow Center for Digital Journalism di New York ne dà la seguente definizione:

“Il giornalismo partecipato è l’atto specifico di invitare un gruppo di persone a partecipare alla stesura di un reportage – con compiti come la raccolta di notizie, dati o analisi – secondo un input mirato ed aperto, attraverso esperienze personali, documenti o altri contributi”.

Cittadini Reattivi è stato presentato in anteprima al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia ad aprile 2013, ed è online con un sito dal maggio dello stesso anno. A tre anni di distanza vanta già diverse battaglie per la richiesta di informazioni chiare su salute e ambiente con inchieste pubblicate su diverse testate su temi come l’amianto, inquinamento e rischi per la salute. Tutto ciò ha richiesto un notevole sforzo considerata la difficoltà che c’è oggi in Italia nel fare inchieste di questo tipo, data la diffusa illegalità e la mancanza di trasparenza. Di fatto, senza il sostegno diretto e la partecipazione dei cittadini che in quei territori inquinati ci vivono, i risultati raggiunti non sarebbero stai possibili. Le inchieste di Cittadini Reattivi sono più che mai indispensabili se si pensa che siamo in un paese dove ci sono ben 15.000 siti contaminanti cui si aggiungono 40 Siti di Interesse Nazionale, aree particolarmente inquinate la cui bonifica spetta al Ministero dell’Ambiente.

A spendersi in prima persona per il progetto di Cittadini Reattivi è Rosy Battaglia, giornalista freelance indipendente, che ha vinto il bando di Fondazione Ahref per il suo alto impatto civico e sociale relativo al problema delle bonifiche dei siti contaminati in Italia e al mancato diritto di accesso dei cittadini alle informazioni ambientali e sanitarie.

Il progetto è stato ospite lo scorso week end agli Open Innovation Days a Padova. La manifestazione organizzata da Nova – Il Sole 24 Ore era incentrata sui temi del cambiamento climatico, democrazia e informazione e medicina del futuro e ha visto Rosy Battaglia coinvolta sia in un tavolo aperto che in un workshop sui media civici. Ha tenuto inoltre una conferenza dove ha ripercorso, nelle sue varie battaglie, le tappe dell’esperienza che ha fatto con Cittadini Reattivi, a partire dalla questione amianto particolarmente sentita a Casale Monferrato, per passare dalla Terra dei fuochi, da Taranto e da Brescia e da molti altri posti. L’abbiamo intervistata a margine dell’evento per discutere delle idee di giornalismo e di informazione, anche scientifica, che stanno dietro Cittadini Reattivi.

Negli ultimi anni si è innescato un fenomeno di produzione dal basso non solo di conoscenza, ma anche di vera e propria scienza, da parte di una cittadinanza che vuole essere partecipe e attiva nelle decisioni che riguardano il suo territorio e il suo futuro. Uno dei molti modi in cui questo fenomeno si è manifestato è proprio l’esperienza di Cittadini Reattivi. Ci racconta come è iniziata?

La premessa da fare è che Cittadini Reattivi è nato dal mio lavoro di giornalista sociale e civica con la proposta di una inchiesta. Questo lavoro, però, è stato pensato in modo da essere aperto alla partecipazione dei cittadini. Il meccanismo ha funzionato perché sulla piattaforma che avevamo progettato sono effettivamente arrivate informazioni, così come anche dai social. Nel corso degli anni grazie alle segnalazioni dei cittadini siamo riusciti a raccogliere molte informazioni dal basso alimentando un meccanismo che in America è stato chiamato crowdsourcing journalism, ovvero un giornalismo partecipativo e condiviso. Il meccanismo è ancora agli albori in Italia, ma Cittadini Reattivi è una di quelle realtà che lo sta facendo.

A questo proposito facciamo un po’ di ordine con i termini. Si sente spesso parlare anche di civic journalism.

Il civic journalism è il giornalismo di interesse pubblico e di impegno civico: il giornalista entra nel processo di produzione della conoscenza e si fa custode di questa nei confronti del potere, operando a tutela degli interessi del cittadino. Il giornalismo in crowdsourcing, invece, può essere visto anche come un sapere condiviso. Per fare un esempio, un progetto di media civico per una biblioteca potrebbe essere quello della mappatura dei libri presenti in città. Nel nostro caso abbiamo parlato di giornalismo in crowdsourcing perché noi da un lato produciamo inchieste civiche che vengono pubblicate da testate giornalistiche, dall’altro lato, il materiale che finisce in queste inchieste molto spesso arriva dalle segnalazioni dei cittadini e dalle verifiche che poi faccio sui territori.

Con un meccanismo di questo tipo però il punto debole potrebbe essere l’affidabilità della raccolta di informazioni che richiede un attento procedimento di validazione, in particolare per quanto riguarda gli aspetti scientifici. Come avviene?

Questo è uno dei temi che mi ha molto preoccupato all’inizio e che mi ha fatto tremare i polsi. Il progetto che ci ha portato a mettere un sito online riguarda il problema delle bonifiche e della contaminazione ambientale dei Siti di Interesse Nazionale. C’erano stati arresti, sequestri… in generale c’è stata una grandissima illegalità nel meccanismo delle bonifiche in Italia e perciò stavo toccando un terreno molto pericoloso. Devo dire che mi aspettavo più problemi di quanti ce ne siano effettivamente stati. In realtà chi arriva sulla piattaforma ha imparato a segnalare situazioni dove c’è già un minimo di verifica e ci sono già dei dati – questa cosa c’è anche nel regolamento del sito. Poi però sta sempre a noi, al giornalista e alla redazione verificare. È successo poche volte che io non sia riuscita a verificare dei contenuti che erano arrivati e a validarli. Questa è una operazione che viene fatta sempre anche quando i contenuti arrivano attraverso altri canali come la mail, attraverso il portale di segnalazioni anonime o attraverso i social.

Il fenomeno di produzione di conoscenza e di scienza dal basso è un fenomeno interessante e relativamente nuovo. Perché avviene? È un sintomo della presenza di carenze nella scienza istituzionale o magari di una generale mancanza di informazione?

Se posso permettermi di fare un appunto ai produttori di scienza o ai colleghi che producono giornalismo scientifico, bisogna precisare che i cittadini in realtà non vanno a cercare nuova scienza. Il loro bisogno, però, è di venire a conoscenza delle informazioni sulle questioni che li riguardano, come salute o inquinamento. Molto spesso questo informazioni esistono, ma non si sa dove siano. Questo è una dei temi che sicuramente anche il giornalismo scientifico deve affrontare. Poi dall’altra parte abbiamo la produzione del mondo scientifico che presenta delle criticità.

Pensiamo ad esempio ai dati epidemiologici. Ne abbiamo anche parlato con i colleghi di Epidemiologia e Prevenzione che hanno un sito che è molto consultato dai cittadini. A mio avviso c’è sempre bisogno però di una transcodifica del linguaggio scientifico. In questo senso dico che la ricerca o la produzione di scienza da parte dei cittadini ha comunque sempre bisogno di chi quella scienza la produce per lavoro. Il ruolo degli scienziati quindi non ne esce indebolito, ma rafforzato. Però – attenzione – solo a patto che si dialoghi con i cittadini, i pazienti e i portatori di interesse in generale. Se non c’è dialogo, invece, è chiaro che si finisce per perdere la propria autorità.

Quindi ci sta dicendo che i cittadini non producono direttamente la scienza, ma reperiscono quella disponibile. Così facendo però, spesso entrano comunque in conflitto con la scienza istituzionale.

È successo: abbiamo diversi casi dove le istituzioni producono informazioni che non solo vengono contestate dai cittadini, ma anche da altre istituzioni. L’esempio è quello di Brescia dove le stesse ASL si sono rifiutate di validare lo studio sull’impatto del PCB fatto dall’Istituto Superiore di Sanità. C’è stata una grossa querelle sui giornali su questo scontro. In quel caso l’ISS è stato appoggiato dalla cittadinanza, mentre l’ASL se l’è trovata contro. Ora, invece, è l’ISS a trovarsi contestato a seguito del commento sullo studio sugli inceneritori. Obbiettivamente i cittadini non sono più così sprovveduti: hanno la capacità e anche una rete per collegare le informazioni e validarle con esperti scelti da loro.

Ora in effetti c’è anche la possibilità di documentarsi in proprio, di mettere insieme competenze e di fare rete

Facciamo un caso difficile e particolare: il movimento No MUOS di cui abbiamo anche parlato su Cittadini Reattivi. A partire dalla lettera che le mamme avevano spedito al Prefetto e al Presidente della Repubblica ho approfondito la questione e, andando a verificare il materiale prodotto dal loro consulente di parte, ho scoperto che in realtà quello che loro denunciavano è di fatto confermato dalla legge. Quindi è lo Stato che, da una parte ha creato un abuso permettendo la costruzione della base e dall’altra parte ha consentito che gli studi che dovevano accertare il possibile danno fossero basati solo su ipotesi, ma mai realizzati a livello effettivo. È piuttosto difficile far capire ai cittadini che stai dando il sì a una grande opera senza aver effettivamente verificato nel mondo reale che impatto questa può avere sulla salute.

Oltre a Cittadini Reattivi esistono altre esperienze di crowdsourcing journalism in Italia?

In Italia c’è segnalare sicuramente Valigia Blu dove i colleghi hanno fatto più volte un lavoro di questo tipo. Loro di solito fanno un lavoro di fact checking, però hanno fatto diversi articoli e progetti come quello sui migranti o quello sulle trivelle chiedendo la collaborazione dei cittadini. Secondo me questa è la strada giusta, anche perché nella sovrapproduzione di informazione di cattiva qualità i cittadini hanno bisogno di trovare fonti che producano informazione verificata e attendibile.

A questo punto la domanda è: che cosa porta in più o di diverso il crowdsourcing journalism rispetto al giornalismo tradizionale?

La diversità sta proprio nella collaborazione aperta e dichiarata con i cittadini. Come ho già avuto modo di dire, i cittadini reattivi sono coloro che vedono per primi i problemi sul loro territorio e li denunciano molto prima di quanto non facciano le istituzioni, poiché mirano a tutelare i loro diritti, la salute dei loro figli, l’ambiente e a migliorare la comunità di appartenenza.

Tirando le somme, Cittadini Reattivi che risultati ha portato?

Siamo poveri quindi di sicuro non la ricchezza. Quello che ho detto anche oggi qui a Padova è che in realtà siamo riusciti a innescare una serie di reti di connessioni sul sapere civico e sul bisogno di buona informazione. Di fatto il pellegrinaggio a contatto con i cittadini che soffrono richiesto da questo lavoro è diventato oggi un capitale di conoscenza, di reti di relazioni come ce ne sono pochi in Italia, ma che Cittadini Reattivi è riuscito a raccogliere. Poi noi non abbiamo editori, riusciamo a pubblicare qualche inchiesta, ma i finanziatori non ce li abbiamo. Questa è la nota dolente, però, devo dire che Cittadini Reattivi è riuscito a produrre conoscenza e anzi, abbiamo la richiesta di aumentare ulteriormente la produzione.

Infine le chiedo, cosa le ha lasciato questa esperienza?

In parte il bilancio l’ho fatto durante la conferenza: tre anni in giro per l’Italia hanno aiutato anche me stessa. Noi abbiamo anche una vita personale oltre a quella professionale e sicuramente il toccare la sofferenza e il bisogno di giustizia in giro per l’Italia per certi versi mi ha un po’ provato, pero alla fine mi ha fatto capire che ci sono persone che sono davvero di ispirazione per tutti noi come ho raccontato da Casale Monferrato alla Sicilia. Io vengo definita come battagliera però vi posso assicurare che ci sono mamme, cittadini, scienziati, ricercatori, sindaci che si battono in condizioni davvero precarie per il rispetto dell’ambiente, della salute e della legalità e lo fanno tutti i giorni. Quindi non siamo soli.

Leggi anche: Citizen science: i record del 2015

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale