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Cannella e cervello: scienza di una spezia

È nei dolci, nel tè e nella cioccolata, ma da anni è finita anche sotto la lente della scienza. Che studia le sue potenzialità anche contro le malattie neurodegenerative.

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Le specie vegetali dalle quali si producono polvere e stecche di cannella sono diverse, ma la più pura è considerata quella di Ceylon, coltivata soprattutto in Sri Lanka. Foto Pixabay

APPROFONDIMENTO – È un’aggiunta gustosa nei dolci, nelle caramelle, nel tè e nella cioccolata soprattutto ora che è arrivato l’autunno, ma sebbene sia una spezia non si ricava né dai frutti né dai semi di una pianta. La cannella proviene invece dai tronchi di alberi sempreverdi della famiglia Lauraceae, grandi anche più di 10 metri e dotati di grandi foglie e fiori bianchi un po’ anonimi, riuniti in infiorescenze. È la lavorazione dei ramoscelli, tagliati con la tecnica del ceduo, pressati e preparati fino ad arrivare all’interno della corteccia, che porta nelle cucine di tutto il mondo la polvere o le “stecche” di cannella, bastoncini profumati e color nocciola dalla forma che ricorda un po’ un foglio di carta arrotolato.

La maggioranza della produzione commerciale di “vera cannella” di Ceylon, Cinnamomum verum, arriva dallo Sri Lanka, ed è considerato il prodotto più puro. Ma questa e le altre specie da cui deriva la spezia (C. cassia, C.burmanni, C. loureroi, C. citriodorum, C. tamale) sono state introdotte nel corso degli anni in vari Paesi tropicali come Malesia, Indonesia, Madagascar, Vietnam e Seychelles. La cosiddetta cannella cinese è Cinnamomum cassia, ampiamente usata anche in Europa in particolare per la produzione di dolci e alimenti vari, perché la cottura in forno non ne riduce troppo l’aroma.

Eppure la storia della cannella non inizia né finisce nei cinnamon roll, perché questa spezia (il cui monopolio per un periodo è stato nelle mani dei veneziani) da anni è finita sotto le lenti della scienza. Le proprietà che le vengono attribuite variano dall’antiossidante all’antibatterico, fino alla capacità di abbassare i trigliceridi nel sangue e di trattare l’ovaio policistico. Secondo la medicina tradizionale cinese, combatte anche i dolori mestruali e i problemi intestinali. Ma la ricerca scientifica oggi guarda avanti verso lidi ancora più ambiziosi: i benefici della spezia in ambiti che vanno dalle terapie per il diabete a quelle per Alzheimer, fino all’azione sui biofilm batterici. La cannella, infatti, sembra avere effetti positivi sulla memoria, sull’apprendimento e sullo stato dei neuroni nel cervello anche in presenza di patologie neurodegenerative. Per ora gli studi sono fermi ai modelli animali ed è presto per millantare effetti importanti sulla salute umana, ma questo ambito di ricerca è il cuore pulsante del lavoro di vari scienziati nel mondo. Per esempio Kalipada Pahan, neuroscienziato del Rush University Medical Center, negli Stati Uniti.

Con la cannella in mente

I test condotti da Pahan sui roditori hanno già mostrato che la somministrazione di cannella porta a cambiamenti biochimici, cellulari e anatomici nel cervello, rendendo gli animali più “lenti di comprendonio” molto più abili a imparare nuove cose agendo sulla neuroplasticità: la spezia migliora la capacità dei neuroni di cambiare sia nella struttura sia nelle funzioni, aumentando le connessioni cerebrali.

La chiave di questo meccanismo potrebbe essere nell’ippocampo, la porzione del cervello deputata alla formazione e organizzazione della memoria, studiata in modo approfondito nella nostra e in altre specie animali. Pahan e colleghi hanno scoperto che nell’ippocampo delle persone più lente a imparare c’è meno CREB, una proteina legata dell’apprendimento, ma aumenta il numero di alcune subunità dei recettori GABAA (GABRA5), normalmente all’opera nel sistema nervoso.

Ai topi è stata somministrata cannella in polvere, che il metabolismo trasforma in benzoato di sodio, un sale presente in molti alimenti e noto per le applicazioni nel trattamento dei danni cerebrali. Quando è arrivato al cervello dei roditori, l’effetto è stato proprio quello atteso: più CREB, meno GABRA5 e l’aumento della plasticità neurale. E a livello di comportamento? I topi svantaggiati che avevano ricevuto la cannella dopo un mese riuscivano a completare il labirinto di Barnes (un esperimento usato per valutare la memoria spaziale) al pari dei compagni più abili.

Un risvolto interessante, cuore della ricerca di Pahan, è stato scoprire che la cannella riesce a modificare il cervello non solo nei topi sani (ma poco propensi a imparare), ma anche nei modelli murini per la malattia di Parkinson. Ancora oggi si stima che il danno cerebrale causato da questa patologia inizi almeno sei anni prima rispetto al momento della diagnosi: i sintomi cominciano a manifestarsi quando è già andato perduto il 50-60% dei neuroni dopaminergici, che nella “sostanza nera” del cervello umano producono un neurotrasmettitore responsabile delle informazioni che ci permettono di controllare il corpo, la dopamina.

Secondo Pahan la cannella, sulle tavole di tutto il mondo ormai da secoli, potrebbe essere un candidato interessante e tra i più sicuri per fermare la progressione del Parkinson. Intrigato dall’idea, lo scienziato ha scoperto che nei topi il benzoato di sodio protegge i neuroni, normalizza i livelli dei neurotrasmettitori e riesce a fermare la perdita della parkina e di DJ-1, proteine che diminuiscono nel cervello dei pazienti di Parkinson. Il risultato, osservato per ora solamente su roditori, è anche che gli animali migliorano nel controllo dei movimenti.

Replicare le scoperte sugli esseri umani sarebbe un avanzamento per la ricerca sul Parkinson, che oggi colpisce il 4 per mille della popolazione generale e circa l’1 per cento di quella sopra i 65 anni, esordendo con lentezza nei movimenti e rigidità muscolare, ma anche depressione e insonnia. Per trattare la patologia, molto più complicata dell’iconico tremore alla mano al quale ancora molti la associano, il percorso è lungo. Ma secondo alcuni scienziati al lavoro in quest’ambito potrebbe iniziare proprio dal connubio tra cannella e sistema dopaminergico.

Proprio questa combinazione ha portato la cannella anche nei laboratori in cui si studia l’Alzheimer. Secondo Roshni George e Donald Graves, scienziati della University of California Santa Barbara, potrebbe essere la chiave per ritardare la comparsa della malattia o addirittura tenerla alla larga. Sul Journal of Alzheimer’s Disease i due esperti si sono concentrati sull’azione di due composti chimici naturalmente presenti nella cannella, l’aldeide cinnamica e l’epicatechina, che ritengono potrebbero prevenire lo sviluppo degli aggregati neurofibrillari, ammassi filamentosi causati dall’accumulo della proteina tau e parte integrante del processo patologico della malattia.

“Il problema con la proteina tau nell’Alzheimer è che inizia ad aggregarsi”, conferma George, perché non si lega più alla struttura cellulare in modo appropriato ma forma fibre insolubili nei neuroni e aggrava la malattia. Proprio l’aldeide cinnamica, responsabile del profumo di cannella che tutti conosciamo, potrebbe prevenire la formazione di questi ammassi  legando i residui dell’aminoacido cisteina sulla proteina tau e impedendo l’aggregazione. Questi residui sono facilmente soggetti a modifiche, una caratteristica che contribuisce a far aggravare l’Alzheimer ma potrebbe essere sfruttata a vantaggio del paziente una volta trovato qualcosa di alternativo al quale farli legare. George e Graves pensano a questa sostanza come a un cappello indossato sulla spiaggia: protegge il nostro viso e la nostra testa dai danni causati dalle radiazioni solari e dallo stress ossidativo. Non a caso viene studiata anche nell’ambito della ricerca sul cancro.

Per quanto riguarda l’epicatechina – una sostanza presente anche nella cioccolata, nel vino rosso e nei mirtilli – la proprietà che George vorrebbe sfruttare è quella antiossidante, facendo legare il composto ai residui di cisteina proprio come l’aldeide cinnamica. “Le membrane cellulari soggette a ossidazione producono derivati reattivi, come l’acroleina, in grado di danneggiare la cisteina”, prosegue lo scienziato. “L’epicatechina è in grado di sequestrare quei prodotti”.

Non solo cervello

Sono questi meccanismi ad aver fatto considerare la cannella anche nelle terapie per trattare il diabete, un’altra strada che gli scienziati stanno esplorando a partire dai meccanismi patogenici di base delle malattie. Un elevato livello di glucosio nel sangue, infatti, porta alla produzione eccessiva di ROS, le specie reattive dell’ossigeno che causano nel nostro organismo lo stress ossidativo. Alzheimer e diabete hanno in comune questo meccanismo; se è possibile contrastarlo in un caso, potrebbe esserlo anche nell’altro. “Poiché la proteina tau è vulnerabile allo stress ossidativo, l’ipotesi è che i pazienti con l’Alzheimer possano trarre beneficio dagli effetti della cannella”, continua Graves, sottolineando che siamo ancora molto lontani dal sapere se potrebbe funzionare negli esseri umani.

La cautela infatti non è mai troppa e sulle quantità di cannella sicure per la nostra salute si è parlato a lungo, soprattutto perché questa spezia è al centro delle tradizioni culinarie di vari Paesi europei e contiene cumarina, composto chimico che può danneggiare reni e fegato se assunto in grandi quantità. Esiste un documento dell’EFSA (European Food Safety Authority) che fa il punto al riguardo, ma chi non si cimenta nella cinnamon challenge difficilmente ingerisce quantità elevate di cannella, salvo forse indugiare un po’ di più con i dolci delle feste. Eppure, qualche anno fa, intorno a questa spezia si è svolto un piccolo dramma nazionale per la Danimarca e i suoi kanelsnegle tradizionali (i cinnamon roll).

Nel 2013 la normativa europea ha ribadito le sue linee guida secondo le quali il massimo contenuto di cumarina poteva essere 50 milligrammi per chilo di impasto negli alimenti stagionali o tradizionali – consumati quindi occasionalmente – ma crollava a 15 milligrammi per i prodotti da forno di tutti i giorni. I kanalsnegle non erano considerati un dolce legato solo al Natale o alle feste, ma da tutti i giorni, dunque i panettieri danesi si sono visti di fronte la minaccia di sfornare dolci con poca cannella, dal sapore completamente diverso a quello noto a tutti i loro connazionali e non solo. Ma ne sono usciti bene e il cinnamon-gate si è concluso con il riconoscimento dei rotoli alla cannella come dolce tradizionale e festivo, dunque autorizzato a contenere quantità più elevate di cannella. Il che non ha impedito al partito Danish People’s Party di sfruttare la diatriba a scopo propagandistico, con un “Less EU, more Denmark” che profumava di kanelsnegle.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".