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Un piccolo passo per una cellula, un grande passo per il regno animale

Il meccanismo che gli organismi pluricellulari utilizzato per ottenere cellule differenziate è molto antico: è possibile esistesse già nei nostri antenati unicellulari

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L’ameba Capsaspora owczarzaki possiede alcuni dei meccanismi cellulari utilizzati dagli organismi pluricellulari per differenziare le cellule. Crediti immagine: Iñaki Ruiz-Trillo, Flickr

SCOPERTE – La vita sulla Terra nacque abbastanza presto, all’incirca un miliardo di anni dopo la sua formazione. Per oltre 2 miliardi di anni rimase però limitata a organismi molto semplici, confinati a vivere negli oceani o in zone ricche d’acqua. Solo con la nascita dei primi organismi pluricellulari moderni come piante, animali e funghi si ebbe, a partire da circa un miliardo di anni fa, quell’esplosione che in relativamente poco tempo cambiò il volto del nostro pianeta. In particolare gli animali emersero circa 800 000 anni fa, evolvendosi da un antenato unicellulare. Ma come avvenne un tale salto evolutivo? In effetti fino ad oggi questo passaggio è risultato molto difficile da spiegare. Uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori spagnoli e pubblicato sulla rivista Developmental Cell potrebbe aprire una breccia nella questione, suggerendo che questo passaggio forse non è stato così netto. I risultati indicano che l’antenato unicellulare probabilmente possedeva già alcuni dei meccanismi che le cellule animali oggi utilizzano per sviluppare differenti tessuti.

Una delle maggiori differenze tra organismi pluricellulari e unicellulari è proprio quella di poter differenziare le cellule in modo che acquistino funzioni specifiche e vadano a formare tessuti differenti. Basta pensare a quanto è diversa una cellula muscolare da un globulo bianco o da un neurone. Ognuna delle cellule del corpo di un animale pluricellulare ha quindi compiti precisi che garantiscono lo svolgimento di tutte le funzioni vitali. Negli organismi unicellulari questa differenziazione non è possibile e tutte le funzioni vitali devono essere svolte all’interno della cellula, senza che sia possibile una specializzazione. O forse no? Secondo gli scienziati spagnoli, non è del tutto vero.

“Stiamo guardando nel passato a una transizione evolutiva che è stata importante per l’origine di tutti gli animali,” ha raccontato in un comunicato Iñaki Ruiz-Trillo, biologo dell’istituto di Biologia Evolutiva di Barcellona, in Spagna. “Noi mostriamo che questi organismi primitivi hanno già alcuni comportamenti che una volta si pensava fossero presenti solo negli animali multicellulari. Da quella situazione il salto evolutivo sarebbe stato più semplice”.

Per giungere a questa importante conclusione i ricercatori hanno studiato Capsaspora owczarzaki, un’ameba che è un vicino parente degli animali multicellulari attuali. Questo organismo unicellulare vive nell’emolinfa di Biomphalaria glabrata, una lumaca che si trova nelle acque dolci dei tropici. In uno studio precedente Ruiz-Trillo e suoi collaboratori ne avevano sequenziato il genoma, scoprendo che erano presenti molti geni che negli animali sono collegati a funzioni multicellulari. Cosa ci facevano in un’ameba? Dopotutto Capsaspora owczarzaki è un organismo unicellulare e non può avere cellule diverse allo stesso tempo. Tuttavia ha una particolare caratteristica: può cambiare tipo di cellula durante il suo ciclo vitale e abbandonare lo stato unicellulare per assumere quello di una colonia di cellule, fino a formare una ciste rigida. Date queste sue caratteristiche gli scienziati si sono chiesti se l’ameba in queste sue trasformazioni non usi proprio gli stessi meccanismi di controllo della differenziazione delle cellule che avvengono negli animali.

Quando una cellula deve assumere una particolare funzione si attivano geni ben precisi. Questi contengono le istruzioni per produrre proteine specifiche che poi vanno a regolare i processi interni della cellula in modo da poter svolgere la sua funzione specifica. È proprio questo meccanismo che consente alle cellule del nostro corpo, a partire da un identico patrimonio genetico, di assumere forme e funzioni tanto differenti.

Per verificare la loro teoria Ruiz-Trillo e i suoi collaboratori dovevano verificare che tipo di proteine fosse presente in Capsaspora owczarzaki durante le sue varie fasi evolutive. Questa analisi è stata fatta in collaborazione con un gruppo di ricercatori guidato da Eduard Sabidó presso l’Unità di Proteomica dell’Università Pompeu Fabra utilizzando la tecnica della spettroscopia di massa. Il procedimento usato prevede di caricare elettricamente le proteine in modo da poter misurare il loro rapporto massa/carica e da questo risalire alla massa della proteina. Poiché ogni proteina ha la sua massa specifica, è possibile in questo modo riconoscere quali tra esse sono presenti dentro una cellula.

“La proteomica basata sulla spettrometria di massa ci permette di misurare quali proteine sono espresse e come vengono modificate” ha spiegato in un comunicato Sabidò. “I segnali intracellulari dipendono dalla modificazione di queste proteine. In questo modo, facendo queste analisi noi non solo capiamo cosa è in corso nella cellula, ma anche come la cellula si organizza e comunica internamente”.

I risultati delle analisi hanno confermato le ipotesi di partenza. Di fatto nel passare da uno stato all’altro il set di proteine dell’ameba va incontro a notevoli cambiamenti. In particolare è emerso che l’organismo usa per regolare questi processi cellulari molti dei meccanismi utilizzati dagli animali pluricellulari. Per esempio Capsaspora owczarzaki per regolare la produzione di proteine attiva fattori di trascrizione e un sistema di segnalazione basato sull’enzima tirosin-chinasi (un sistema che funziona da interruttore per molte delle funzioni cellulari). “Questi sono proprio gli stessi meccanismi che gli animali usano per differenziare una cellula dall’altra ma che finora non erano mai stati osservati in un organismo unicellulare” racconta Ruiz-Trillo.

La presenza di questi strumenti di regolazione delle proteine sia negli animali che nell’ameba studiata suggerisce che probabilmente anche la cellula ancestrale da cui sono discesi tutti gli animali possedeva gli stessi sistemi e che questi erano ben più complessi di quanto pensassero gli scienziati. “Il progenitore unicellulare già aveva gli strumenti di cui hanno bisogno le cellule per differenziarsi nei tessuti” ha affermato Sabidò. “Le cellule che c’erano in circolazione prima degli animali erano più o meno preparate per questo salto”.

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale