GRAVIDANZA E DINTORNI

Aborti ripetuti: come evitarli (senza moraleggiare)

A Bari, dopo un'interruzione di gravidanza una donna riceve in ospedale l'augurio scritto che rimanga l'unica. Ma quali sono le strategie efficaci per evitare aborti ripetuti?

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Una buona educazione sessuale all’utilizzo di contraccettivi sicuri è la prima risposta per prevenire gli aborti ripetuti. Crediti immagine: Sarah Mirk, Flickr

GRAVIDANZA E DINTORNI – “Gentile signora, su sua richiesta è stata sottoposta a interruzione volontaria di gravidanza (ivg). Le auguriamo che l’intervento cui è stata sottoposta in data odierna rimanga unico”. Questo ha potuto leggere una donna che si era appena sottoposta a un aborto volontario nell’azienda ospedaliera Di Venere-Fallacara, a Bari, in un documento consegnatole alle dimissioni. Come se il delicato tema degli aborti ripetuti si potesse liquidare così, con un augurio che sa di tirata d’orecchie moraleggiante: “Ci sei cascata una volta, occhio a non cascarci più”. E non è tutto, perché il documento – rilasciato pochi giorni fa – continua, in peggio, tirando in ballo aspetti morali e rischi psicologici ed emotivi: “L’ivg ha implicazioni di ordine morale, sociale e psicologico e non è solo una mera procedura chirurgica o farmacologica ma un rischio per la stabilità emotiva della donna con possibili ripercussioni sul piano relazionale”. Conclusione: sarà quindi meglio che in futuro la donna adotti un “valido metodo contraccettivo, per una vita sessuale più serena”.

La stampa, insieme alla notizia, ha subito riportato lo sconcerto dei responsabili dell’Azienda sanitaria coinvolta, che non ci capacitano di come questo vecchio documento – in uso, pare, fino a due anni fa (in ogni caso non proprio un’era geologica…) – sia ancora in circolazione. Resta il fatto che l’episodio punta il dito contro la leggerezza con la quale le politiche sanitarie del nostro Paese tendono spesso ad affrontare il tema degli aborti ripetuti. Un tema non proprio marginale, se più di una donna su 4 che si sottopone a ivg ne ha alle spalle almeno un’altra (dati 2013 della Relazione annuale al Parlamento sull’attuazione della legge 194 del Ministro della Salute). Di questo argomento aveva parlato poche settimane fa la ginecologa Anna Uglietti, dal 2009 al 2015 responsabile del servizio per l’applicazione della 194 al del Policlinico di Milano, a un convegno su Gravidanza e disagio sociale organizzato dalla Fondazione Giorgio Pardi. L’abbiamo raggiunta al telefono per approfondire la questione.

Dottoressa Uglietti, per cominciare un commento sul documento di Bari…

Mi sembra più colpevolizzante che responsabilizzante, se questo voleva essere l’intento. Il problema è che l’educazione sanitaria non passa mai attraverso la colpevolizzazione. Per ottenere risultati bisogna avere rispetto delle persone e fiducia nelle loro capacità. Oltre che, naturalmente, gli strumenti sanitari adeguati per affrontare seriamente i problemi.

Parliamo di aborti ripetuti, dunque: perché si verificano?

Sicuramente molti aborti – dunque anche quelli ripetuti – sono frutto di una pessima pratica contraccettiva. Questa però non è tutta la storia: ogni singola interruzione di gravidanza può avere cause diverse, anche a seconda delle età della vita. Una donna può aver abortito a 18 anni perché  era stata effettivamente un po’ incosciente rispetto alla contraccezione e si era ritrovata con un gravidanza indesiderata, e può farlo di nuovo a 30 anni perché di quel figlio il partner proprio non ne vuole sapere, o perché scopre che il feto ha gravi problemi di salute. E a volte si sommano più aspetti: può darsi che ci sia poca attenzione sulla contraccezione perché una gravidanza non sarebbe del tutto indesiderata, ma che, quando arriva, ci si rende conto che un figlio in più sarebbe insostenibile dal punto di vista economico.

Da cosa dipende la pessima pratica contraccettiva di cui parla?

Possono entrare in gioco vari fattori: a volte è una questione di ignoranza. Si conoscono poco i vari metodi disponibili, e non si sa bene come usarli in modo efficace, il che è tanto più grave quanto meno è sicuro in partenza il metodo. Così, i contraccettivi vengono usati male – per esempio si può scegliere il preservativo, ma poi usarlo una volta sì e tre no – oppure la scelta viene completamente delegata all’uomo, con il coito interrotto. Può succedere con le ragazze molto giovani, che ho sentito spesso dire frasi come “mi aveva detto che ci avrebbe pensato lui”, ma anche con donne che hanno scarso potere decisionale sulla loro vita. Per esempio molte donne immigrate non hanno alcuna idea del fatto che potrebbero decidere in autonomia della loro fertilità. Per loro, l’aborto può diventare una questione di legittima difesa.

Ci sono anche donne che temono i contraccettivi?

Sì, certo. Molte hanno una profonda resistenza psicologica e culturale, specialmente nei confronti dei farmaci ormonali e dei dispositivi long acting, cioè a lunga durata, che pure sono quelli più efficaci, come la spirale o gli impianti sottocutanei a rilascio graduale di progestinici. Si temono rischi ed effetti collaterali e viene vissuta malissimo l’idea di dover prendere un farmaco per molto tempo. In pratica, non si considera abbastanza elevato il rischio di una gravidanza, possibile se la contraccezione non è sicura, rispetto ai rischi – rari e in genere lievi – di un contraccettivo. E così si preferisce camminare sul filo…

E i costi, c’entrano qualcosa?

In situazioni di reddito molto basso potrebbero fare la loro parte. Del resto non sono costi irrilevanti: l’anello vaginale, per esempio, costa 19 euro, e va cambiato una volta al mese. La classica spirale al rame – da sostituire ogni 5 anni – ha un prezzo tutto sommato contenuto, dai 50 ai 70 euro, ma i costi lievitano se si passa alle spirali medicate, da 160 a 210 euro, o all’impianto sottocutaneo: 180 euro per tre anni.  Il problema è che quasi nessun contraccettivo è offerto dal Servizio Sanitario Nazionale. Nei consultori pubblici è quasi sempre possibile inserire la spirale, ma frequentemente solo quella al rame ed è raro che si possano inserire i dispositivi  progestinici sottocutanei. Quindi, quando si parla di long acting al costo del dispositivo bisogna aggiungere quello del ginecologo o del consultorio privato.

Di fronte a questo scenario, quali sono le strategie migliori per ridurre il fenomeno degli aborti ripetuti?

La strategia che si è sicuramente dimostrata più efficace – lo dicono i risultati di un ampio studio condotto negli Stati Uniti, lo studio CHOICE – è l’utilizzo dei metodi contraccettivi long acting. In particolare, nel caso di donne con aborti ripetuti che dipendono proprio da scarsa consapevolezza contraccettiva, l’ideale sarebbe proporli e inserirli contestualmente all’intervento di interruzione di gravidanza, possibilmente gratis o dietro pagamento di un ticket, cosa che nella maggior parte dei nostri ospedali non si fa. Ovviamente non si tratterebbe di obbligare le donne a ricevere questo trattamento, ma di informarle su questa possibilità, spiegando loro rischi e benefici, vantaggi e svantaggi. E di offrire la possibilità concreta di utilizzarla, senza il bisogno di tornare in ospedale o dal ginecologo una seconda volta. In ogni caso, la consulenza personalizzata – di persona e approfondita, non demandata a un foglio di carta – al momento dell’ivg è fondamentale. Purché non sia colpevolizzante, perché altrimenti è chiaro che le donne finiscono con il vergognarsi e non si fanno più vedere.

C’è anche altro che si potrebbe fare?

Certo! Anzitutto, la contraccezione è un tema di educazione sessuale – sì, anche e soprattutto nelle scuole! – quindi bisognerebbe fare in modo che le ragazze e le donne prendessero piena coscienza del diritto al controllo della propria sessualità e fertilità. Scegliendo poi il metodo contraccettivo che ritengono migliore per loro. Che può anche essere l’astensione nei periodi fertili, purché si impari molto bene a riconoscere questi periodi e si sia assolutamente consapevoli dei rischi di questo metodo così poco sicuro. E poi c’è un tema sociale più ampio. Perché non possiamo dimenticare che l’aborto può anche essere frutto della fragilità esistenziale ed economica in cui si trovano alcune donne. Può non piacerci, ma è una realtà: ci sono donne (o famiglie) che rinunciano alla gravidanza perché ritengono di non potersela permettere. Perché non hanno un lavoro, o perché è un lavoro precario, o perché sanno che non avranno assistenza e così via. Tutte dovrebbero essere messe nelle condizioni, anche sociali e lavorative, di fare i figli che desiderano.

Leggi anche: Obiezione di coscienza sull’aborto: ecco perché è un’aberrazione etica

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance