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Dall’inglese allo spagnolo (e ritorno)

Risvegliarsi dal coma e parlare fluentemente una lingua che si conosceva appena: storia di un non-miracolo neuroscientifico

Un giovane portiere, a seguito di un trauma, esce dal coma e sembra parlare lo spagnolo più fluentemente di prima. Secondo i clinici questo comportamento bizzarro può essere ricondotto alla sindrome dell’accento straniero. Crediti immagine: geralt, Pixabay

RICERCA – Reuben è un adolescente statunitense che vive nella grande periferia di Atlanta. Gioca a calcio (soccer, come lo chiamano negli States per distinguerlo dal più diffuso, e amato, football), ed è un portiere promettente. Durante una partita si getta sui piedi di un attaccante per evitargli di concludere, e riceve un potente calcio alla testa. Il trauma appare subito grave: disorientamento e difficoltà a respirare, seguiti da perdita di coscienza e coma.

Per fortuna, però, quella che ci apprestiamo a commentare non è una tragedia sportiva, bensì un curioso aneddoto clinico. Reuben infatti si risveglia dal coma qualche giorno dopo, praticamente incolume a parte una diffusa difficoltà a mantenere la concentrazione (deficit che, comunque, sta diminuendo giorno per giorno). Quello che sorprende medici, infermieri e familiari è piuttosto il fatto che il giovane portiere, al risveglio dal coma, inizia a parlare fluentemente spagnolo (una lingua che, a detta dei genitori, poteva parlare con difficoltà prima del trauma). A mano a mano che passavano i giorni questa propensione nei confronti dello spagnolo si è gradualmente ridotta, a favore dell’inglese che Reuben ha sempre parlato.

Secondo i clinici che hanno avuto in cura il giovane, questo comportamento bizzarro può essere ricondotto alla sindrome dell’accento straniero (Foreign Accent Syndrome, o FAS), una condizione rara che si sviluppa a seguito di ictus cerebrali, traumi o malattie neurodegenerative come la sclerosi multipla. Già in passato erano stati rilanciati da diversi media casi in cui sembrava esserci stato un improvviso miglioramento nella conoscenza di una lingua straniera a seguito di un trauma. Tuttavia neuroscienziati e medici sono scettici, e al momento non esistono casi documentati dal punto di vista medico-scientifico di questo miracoloso miglioramento. Quello che è stato documentato, invece, è che danni a determinate regioni cerebrali possono riflettersi in una modifica della capacità di articolare correttamente le varie sillabe che compongono una parola.

L’articolazione della lingua parlata, infatti, è un’operazione cognitivamente complessa, che coinvolge diverse aree cerebrali: innanzitutto le aree di Broca e di Wernicke, unite da un tratto di sostanza Bianca chiamata fascicolo arcuato, permettono di progettare e costruire frasi di senso compiuto (un danno a questo pathway neurale porta infatti allo sviluppo della cosiddetta afasia). Il flusso di informazioni viene poi trasmesso alla corteccia motoria, in modo che tutte le strutture anatomiche coinvolte nella fonazione (lingua, labbra, mandibola e laringe) vengano attivate in maniera coordinata. Questa attivazione, che segue una gerarchia ben precisa e armonica, sembra riflettere una strategia volta a semplificare la coordinazione degli organi implicati nel linguaggio parlato, rendendola più “meccanica” ed automatica. A supportare questa sorta di automatismo nella produzione del linguaggio interviene un’ulteriore struttura cerebrale, il cervelletto: tale area è cruciale nella coordinazione di diversi compiti motori complessi, e diversi studi hanno confermato la sua importanza anche nel linguaggio. Se provate a rifletterci, nella maggior parte delle situazioni in cui ci esprimiamo nella nostra madre lingua le parole fluiscono quasi senza pensarci, cosa che invece non avviene quando ci cimentiamo in un discorso sostenuto in una lingua straniera.

Nella FAS le aree maggiormente coinvolte sembrano essere appunto quelle della corteccia sensorimotoria e del cervelletto, che insieme regolano l’intonazione che diamo a parole e frasi (e, di conseguenza, anche l’accento usato) e la velocità con cui riusciamo a recuperare, dal bagaglio di memoria semantica e sintattica a nostra disposizione, le informazioni necessarie per articolare la frase (quindi la fluenza).

Nel caso di Reuben, quindi, la spiegazione più probabile è che un deficit transitorio nel funzionamento di queste strutture abbia portato ad una aumentata fluenza nella produzione orale della lingua spagnola che, associato ad un alterato accento e a una diminuzione (anch’essa transitoria) della produzione orale della propria madrelingua, ha fatto urlare alla santa maravilla i non addetti ai lavori. Nulla di tutto ciò, ma resta l’ennesimo, e di sicuro non ultimo esempio di quanto sia affascinante – e ancora, in fondo, inesplorato – il mondo racchiuso nel nostro cervello.

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Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.