Il colloquio di lavoro del (prossimo) futuro
Ovvero, come al giorno d'oggi un candidato ad una posizione lavorativa può presentarsi più efficacemente. In modo da essere più probabilmente intercettato dai recruiter, umani o artificiali che siano.
ATTUALITÀ – Al giorno d’oggi, specialmente a seguito dei mutamenti imposti dalla crisi economica, trovare un lavoro è davvero divenuta una impresa quasi epica. E cercarlo è, a sua volta, un vero e proprio lavoro, che richiede tempo, sforzi, networking energie, ricerche assidue e prontezza di riflessi.
Se è vero, infatti, che si sono moltiplicati a dismisura i canali da utilizzare per cercare offerte e inviare velocemente la propria candidatura, soprattutto grazie all’avvento della rete globale, troppa fretta e superficialità possono penalizzare anche il candidato più valido, che rischia di non essere preso in considerazione per questioni puramente formali.
Qui ci sta subito una precisazione: nel Bel Paese, ma anche all’estero (più di quanto si creda) una buona referenza vale spesso più di ogni curriculum. E non bisogna credere che referenza significhi necessariamente raccomandazione: spesso si tratta della segnalazione di una persona con gli skill giusti per una posizione che un’azienda non riesce a coprire. Che può, per esempio, avvenire grazie a un intermediario informale, che conosce azienda e candidato.
L’avvento delle nuove tecnologie può solo agevolare questo processo, che, in modi più tradizionali, ha sempre costituito una delle possibili modalità per riuscire nell’obiettivo. Che cosa può aiutare un candidato, in prima analisi, ad accedere ai colloqui, spesso il primo scoglio davvero difficile da superare?
La risposta suona quasi ovvia: una buona presentazione. E se un tempo ciò equivaleva a una perfetta grafia nella lettera di motivazione, o alla scelta di un abbigliamento consono al primo colloquio, al giorno d’oggi ha assunto un significato molto diverso. Una buona ed efficace presentazione si traduce spesso nell’avere una reputazione digitale solida. Che cosa vuol dire?
Pensiamo ad esempio ai social network, sia quelli più orientati al tempo libero, come instagram, facebook o twitter, sia a quelli professionali, come linkedin, e mettiamoci nei panni di chi debba effettuare una ricerca di lavoro per un determinato profilo. Quali saranno le azioni che eseguirà?
Questo gioco al contrario è un esercizio utilissimo, perchè consente di passare sotto un filtro accurato le informazioni che noi stessi vogliamo che vengano ricevute, e anche a modularne l’efficacia.
Ad esempio, se il nostro recruiter è alla ricerca di una personalità creativa, con delle ben precise capacità tecniche o professionali, prepariamoci all’idea che abbia (in testa o appuntata in un’agendina cartacea o digitale, poco importa) una vera e propria lista di requisiti, che inevitabilmente userà per effettuare una ricerca diretta. E, sempre meno, per passare al vaglio una montagna di carta in cui giace anche il nostro cv tradizionale.
La ricerca verrà, assai plausibilmente, condotta utilizzando un algoritmo molto semplice, che è quello del best fitting: in percentuale, quanto il profilo pubblico del candidato che sto esaminando si sovrappone agli skills della job description per la quale sto effettuando la selezione?
E allora, dal lato del candidato, quali devono essere gli accorgimenti per rendersi il più possibile visibile? Ecco che il concetto di buona presentazione si traduce in questo caso nella capacità di elencare in modo efficace, diretto e non dispersivo le informazioni che ci riguardano. Chi sono? Che titoli ho? Che esperienza ho? Quali strumenti informatici o professionali sono in grado di utilizzare? Che motivazione e che aspirazioni ho? Di quali associazioni faccio parte?
Un profilo su un network professionale in cui tutte le informazioni suddette sono rappresentate in modo completo, possibilmente l’uso di opportune parole chiave, consentirà di sicuro di raggiungere un posizionamento migliore nelle ricerche e a “mettere in vista” un candidato.
Anche un’immagine del profilo può aiutare: l’importante è scegliere qualcosa che da una parte ci rappresenti bene; e dall’altra possa essere accattivante dalla prospettiva di chi effettua la ricerca.
E, cosa fondamentale, è necessario assicurarsi di inserire sempre informazioni veritiere: contravvenire a questa regola basilare può da una parte avere effetti catastrofici di tipo legale, ad esempio se si mente sui titoli, ma anche, più spesso, far scartare il candidato per la poca onestà che ha dimostrato. Infatti i recruiter sono sempre più spesso preparati non solo dal punto di vista dell’analisi delle doti e caratteristiche personali, ma anche di quelle tecniche e professionali. Una bugia sperticata ha le gambe molto più corte che in passato, e se anche si viene chiamati, al successivo step della selezione si rischia di andare inesorabilmente fuori.
Inoltre, come già accennato, una buona reputazione digitale deriva anche da un uso consapevole dei social network più orientati allo svago: ad esempio, è di sicuro una nostra libertà rendere pubbliche urbi et orbi immagini che ci ritraggono in un party selvaggio o in pose da divi del cinema, ma dobbiamo sapere che è assai probabile che ci ha individuati in prima battuta su un network professionale, andrà di sicuro a raffinare la ricerca ovunque troverà contenuti che ci riguardano. E quindi magari gli andrà bene vederci esibire compulsivamente muscolatura o silhouette, se sta cercando promoter o responsabili di vendita di attrezzi ginnici, un po’ meno se gli è stata commissionata la ricerca del responsabile di un ufficio tecnico di una grande multinazionale.
Un punto assai importante del processo di selezione è rappresentato dall’obiettività dell’esaminatore: come fa l’azienda che commissiona la ricerca a essere sicura che il recruiter agirà nel suo migliore interesse, analizzando tutti i punti chiave del profilo ricercato ed evitando di farsi condizionare da aspetti ritenuti più marginali, inondando il committente di candidati poco adatti, con la conseguenza di un enorme spreco di tempo e risorse?
Non deve sorprendere che, per far fronte a questa seria esigenza, ci si stia già attrezzando a utilizzare, anzichè selezionatori umani, una intelligenza artificiale. È il caso di FirstJob, una società di selezione di profili junior che usa già da un po’ un agente virtuale, denominato Mya, per la caccia ai candidati più interessanti.
Quindi, più che munirsi di pacchi regalo di pasta, dolci e salami per fare una buona impressione, sarebbe più opportuno cominciare a fare una buona scorta di efficaci hashtag.
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