SALUTE

Procreazione medicalmente assistita in Italia: i primi dati sull’eterologa

Sono 12 836 i bambini nati nel 2015 grazie alla PMA, l'1% in più rispetto al 2014. E si comincia già a vedere il contributo importante dell'eterologa in termini di successo dei trattamenti, anche se l'età della donna è ancora un fattore cruciale.

Nel 2015 in Italia sono nati 12 836 bambini grazie alle procedure di procreazione medicalmente assistita. Crediti immagine: Public Domain

SALUTE – Il 30 giugno scorso è stata presentata al Parlamento la Relazione annuale sullo stato di attuazione della Legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita (PMA), relativamente al 2015, che per la prima volta presenta i risultati relativi alla fecondazione eterologa. Il dato complessivo è che sono 12 836 i bambini nati vivi nel 2015 grazie alla fecondazione assistita. Certo, non è una passeggiata per queste coppie, dal momento che i tassi di successo ancora non sono molto alti: il totale dei cicli effettuati nel complesso nel 2015 arriva infatti a 95 000.

L’eterologa è ancora poca, ma porta risultati

In un anno è aumentato del 5% il numero delle coppie che si sono sottoposte ad almeno un ciclo di PMA: da 70 000 a 74 000, per quasi un 1% di bambini nati vivi in più rispetto al 2014. Oggi i bambini nati da fecondazione assistita sono il 2,6% del totale e 1 su 1000 è nato grazie alla fecondazione eterologa.
Ciò non significa che quest’ultima funziona peggio, anzi: semplicemente i cicli di fecondazione eterologa sono molti di meno: solo 2800 cicli su oltre 95 000. Tuttavia, l’aumento complessivo dei nati vivi nel 2015 è in gran parte merito proprio dell’eterologa: se fosse per l’omologa i nati vivi sarebbero il 3,3% in meno rispetto all’anno precedente. Non per tassi di successo più bassi, ma solamente per una diminuzione nel numero dei cicli di fecondazione omologa a fresco di II e III livello.

“Non bisogna stupirsi che i cicli di fecondazione eterologa siano molti di meno – spiega a OggiScienza la dottoressa Maria Elisabetta Coccia, Direttore del Centro per la Procreazione Medicalmente Assistita dell’AOU Careggi di Firenze. “Solo nell’aprile 2014 la Corte Costituzionale ha aperto le porte all’eterologa, che è stata portata alla conferenza Stato-Regioni solo nel settembre dello stesso anno. Si è cominciato a utilizzare l’eterologa dunque da poco, e considerato che per valutarne le percentuali di successo sono necessari anche i nove mesi della gravidanza affinché il bambino nasca, al momento i numeri non possono che essere esigui. Prevediamo che già il prossimo anno i tassi di coppie che si sottopongono all’eterologa aumenteranno del 10% circa. Inoltre, come mostrano i dati, l’eterologa è scelta specialmente da donne in menopausa e da uomini senza spermatozoi”, conclude la dottoressa.

Sempre di meno le gravidanze gemellari

Un altro dato importante è che 3 cicli su 5 avviene all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, fra centri pubblici e privati convenzionati. In proporzione le cliniche private sono la fetta più grossa (6 su 10) ma fanno solo il 36% dei cicli complessivi. In totale sono 366 i centri attivi in Italia, 202 dei quali offrono trattamenti di I, di II e III livello, che sono quelli con i tassi di successo più elevati.

Va comunque sfatato un luogo comune: quello secondo cui la fecondazione assistita esporrebbe a percentuali elevate di parti gemellari o trigemini, oltre che a un alto rischio di feti patologici. “Oggi non è più così – assicura Coccia – dal momento che dal 2009 una sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito che è possibile fecondare solamente un numero idoneo di ovociti, a seconda di ciò che il medico ritiene più opportuno per la donna stessa. Solitamente si trasferisce uno o al massimo due embrioni , riducendo al minimo la possibilità di gravidanze multiple.”

Una donna su 3 ha più di 40 anni

Per quanto riguarda i tassi di successo a fare la differenza è sempre l’età della donna. Nelle donne con meno di 34 anni la fecondazione omologa si trasforma in gravidanza in 1 caso su 4. Nella fascia 35-39 anni già siamo a 1 successo su 5, in quella 40-42 in media le gravidanze si instaurano nell’11% dei cicli e nelle donne con più di 43 anni ci si ferma al 6,3%. Resta costante a 36,8 anni l’età media delle donne riceventi nelle tecniche omologhe a fresco, mentre si conferma l’aumento progressivo delle donne con più di 40 anni che accedono a queste tecniche: sono il 33,7% nel 2015, erano 20,7% del 2005. Nella fecondazione eterologa invece l’età della donna è maggiore se la donazione è di ovociti (41,5 anni) e minore se la donazione è di seme (35,3). Nel complesso si riscontra un aumento della percentuale in Italia di bambini nati da PMA nell’ambito delle donne con più di 40 anni.

Purtroppo resta il fatto che per molte coppie che si sottopongono a questi trattamenti non sono chiare le ragioni dell’infertilità, un problema spesso legato all’età avanzata della donna. Se prendiamo i dati riguardanti l’inseminazione semplice (dati su 14 000 coppie) vediamo che la cosiddetta infertilità idiopatica, quella cioè di cui non si conosce l’origine, riguarda il 37% delle coppie, il fattore maschile il 18,3% delle coppie, l’infertilità endocrina o ovulatoria femminile il 19%, a cui si aggiungono un 4% di coppie dove la donna soffre di un fattore tubarico parziale e un 3,8% di endometriosi. Per il 13% delle coppie che richiedono l’inseminazione semplice sono presenti problemi di infertilità sia nell’uomo sia nella donna.

Preservare gli ovociti da giovani è possibile

Un tema delicato in questo senso è quello della possibilità per una donna giovane, con meno di 30 anni, di preservare i propri ovuli volontariamente in vista di una possibile gravidanza in futuro, per evitare di ritrovarsi dopo magari dieci anni a cercare un figlio e a scontrarsi con il fatto che i propri ovociti non sono più adatti a essere fecondati. “Oggi in Italia è possibile per legge crioconservare i propri gameti (si tratta di una procedura a pagamento che costa circa 1500-2500 euro) anche per ragioni non oncologiche, cioè da parte di donne che non hanno ricevuto una diagnosi di cancro, ma che intendono conservare i proprio ovociti giovani e sani in vista di una gravidanza futura”, spiega Coccia. “È evidente che qui non stiamo parlando di conservare i nostri ovuli di 25 enne per poi usarli per avere un figlio una volta che è finita la nostra età fertile, cioè per assicurarci di poter diventare madri a 50 anni per esempio”, precisa la dottoressa. “Qui stiamo parlando di un’altra cosa, e cioè la possibilità di avere a disposizione i nostri ovociti sani qualora negli anni successivi, comunque non oltre l’età consigliata per una gravidanza, desiderassimo avere un figlio e ci trovassimo ancora giovani ma con una riserva ovarica ed una età – per esempio oltre i 40 anni – che per qualche ragione non è più sufficiente a permetterci di diventare mamme neanche con la PMA omologa”. Certo, la procedura non è leggera per la donna: si tratta anche qui di sottoporsi a cicli di stimolazione ormonale, e una volta ottenuta una produzione consona di ovociti, eseguire un intervento per prelevarli e conservarli.

“A oggi non sappiamo quante donne si sottopongono alla preservazione della fertilità per ragioni non oncologiche – conclude Coccia – anche perché difficilmente i ginecologi che non fanno anche PMA sono aggiornati su queste possibilità e le consigliano a donne ragionevolmente giovani, con meno di 35 anni, e che non danno segni di problematiche legate all’infertilità. Si tratta invece di una possibilità importante ma troppo poco conosciuta e che per questo va raccontata. Sono troppe le donne che con fatica si sottopongono a cicli di fecondazione assistita che troppe volte finiscono in una delusione, e che potrebbero in questo modo vivere una possibile maternità in modo più sereno e fisicamente meno doloroso.”

@CristinaDaRold

Leggi anche: Speciale LEA – Le novità su procreazione medicalmente assistita e gravidanza

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

Condividi su
Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.